Eccoci arrivati a quel momento dell’anno. Come sempre, la nostra classifica è il risultato di un sistemone (quasi) perfetto in cui affluiscono tutti i nostri voti e i nostri umori intorno ai dischi usciti negli ultimi 12 mesi.

Fateci sapere cosa ne pensate, senza indugio alcuno. Si tratta pur sempre di un gioco, ma la speranza è quella di riuscire a fornirvi una bussola per muovervi agilmente nella selva di pubblicazioni che ogni anno ci sovrasta inesorabilmente.

Cerchiamo sempre di offrirvi il meglio. Non tutto: il meglio. E questo è il nostro piatto.

Buon ascolto!

Paolo

 

 

40. Hello Mary – S/T

Nelle giornate più difficili, queste tre ragazze di New York con la passione per l’alt-rock americano anni ’90 possono davvero fare la differenza. È forse questo il “bubblegrunge” di cui parlano quelli di Spotify nei nostri riassuntoni di fine anno? Boh, potrebbe anche essere. Ascoltatevi questo disco e ve ne farete un’idea. (Paolo)

 


 

39. Home Is Where – The Whaler

Post-emo-core-indie-rock. Insomma, roba americana emozionante di qualità. Con le chitarre. (Carlo Pinchetti)

 


 

38. Local Weatherman – S/T

Prendete i primi Weezer e impastateli con i Pavement tutti. Otterrete questa ottima band newyorkese, che ben interpreta l’indie-rock americano, alla maniera che piace a noi. Qui dentro ci sono brani deliziosi che vi prenderanno al primo ascolto. (Paolo)

 


 

37. Baby Rose – Through And Through

La seconda prova di Jasmine Rose Wilson, in arte Baby Rose, è un lusso che le vostre orecchie dovrebbero sempre permettersi. (Paolo)

 


 

36. dEUS – How To Replace It

Dalla scrittura agli arrangiamenti, il risultato rasenta come sempre la perfezione. Il tutto si risolve in dodici tracce stratifcate, corpose e ricche di dettagli mai scontati. Proprio come un palazzo disegnato da un archistar. (Paolo) – Recensione

 


 

35. Yves Tumor – Praise a Lord Who Chews But Which Does Not Consume…

Riuscire a incasellare Yves Tumor all’interno di un genere è impossibile: passando attraverso la nuova psichedelia e arrivando fino a un rock dal sound viscerale e profondo, in “Praise a Lord Who Chews but Which Does Not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds)” la potenza immaginifica di uno degli artisti più creativi degli ultimi anni riesce a esplodere senza più limiti. (Lucrezia Lauteri)

 


 

34. Girlfriend. – To Be Quiet

Da Dublino ultimamente sta uscendo musica straordinaria. L’album delle Girlfriend. è rimasto in lavorazione per 8 anni, in cui sono successe un sacco di cose. Ossa rotte, malattie, lavori di merda, una pandemia, cuori spezzati, uno sfratto illegale, fra le altre cose. “To Be Quiet”, debutto imponente per il quartetto all female irlandese, esorcizza questi eventi avversi: è il dolore di chi sopravvive. Un lavoro scuro e ammaliante, che celebra l’amicizia di quattro ragazze capaci di trasformare questo dolore in suoni tetri e affascinanti, in bilico fra shoegaze, post-punk, coldwave ed esplosioni noise. Consigliatissimo ai fan di Organ, Cure e Sonic Youth. (Andrea Bentivoglio)

 


 

33. The National – Laugh Track

La band originaria dell’Ohio crea musica per una generazione soffocata da lavori automatizzati e alienanti. La sfida è continuare a scrivere sulla malinconia della classe media e farla sembrare così avvincente. (Tum)

 


 

32. Gorillaz – Cracker Island

I Gorillaz tornano al pop più accessibile con un disco corto ma pregno, che nella versione espansa regala una Silent Running acustica che vale 10 anni di carriera almeno. Come il sottomarino a cui si riferisce la canzone, anche noi siamo alla deriva, ma grazie a canzoni del genere è possibile tenere la barra dritta. Anzi, va fatto. (Andrea Fabbri)

 


 

31. Daughter – Stereo Mind Game

In “Stereo Mind Game” il dream pop dei Daughter si allarga ulteriormente a trame a volte orchestrali, a volte elettroniche, ma anche indie-folk e addirittura rock. Un gran bel ritorno. (Paolo)

 


 

30. Cleo Sol – Heaven

Senza le spintarelle della major di turno, Cleo Sol si è conquistata il posto che le spetta nel panorama neo soul britannico. (Paolo)

 


 

30. Yazmin Lacey – Voice Notes

Esordio di incredibile spessore che spazia dall’RnB al soul, dal jazz al reggae e alla black music tutta.

 


 

29. Algiers – Shook

Gli Algiers sono una di quelle realtà nate ortodosse, completamente dedite alla propria natura istintiva e ribelle, poi diventate un universo multiculturale capace di condensare in una sola opera varie influenze musicali e umane. (Andrea Manenti) – Recensione

 


 

28. Blondshell – S/T

Fuori dall’hype, fuori dalle mode del momento. Fuori dai radar di chi si affida soltanto alle raffiche social. Sabrina Teitelbaum, in arte Blondshell, fa di tutto pur di non farsi notare. Ma quando la scopri, poco importa se per merito o per caso, ti ritrovi tra le mani un diamante grezzo da conservare con cura. (Paolo) – Recensione

 


 

26. Andy Shauf – Norm

Una classe estrema tra jazz, indie folk e roba acustica da inchinarsi. Roba che non dovrebbe gasare, ma gasa tantissimo. (Carlo Pinchetti)

 


 

25. ANOHNI and the Johnsons – My Back Was A Bridge For You To Cross

Un compendio perfetto di ciò che il soul, il blues e il rock ci hanno regalato negli ultimi 50 anni. Nume tutelare: Marvin Gaye. (Paolo)

 


 

24. Shame – Food For Worms

Eccoci di fronte a dieci canzoni che mescolano con grande efficacia il solito post-punk debitore dei Fall di Mark E. Smith (il loro vero marchio di fabbrica), con atmosfere sognanti ed epiche che richiamano alla mente le cavalcate degli Stone Roses. (Andrea Manenti) – Recensione

 


 

23. Bar Italia – Tracey Denim

“Tracey Denim”, il nuovo disco deiBar Italia, è un viaggio attraverso le sperimentazioni sonore dello slacker-rock, dell’experimental-indie-pop e dell’ estetica lo-fi. (Tum) – Recensione

 


 

22. The National – First Two Pages Of Frankenstein

I National, tra crisi interne e shelleyani blocchi dello scrittore di Matt, si ritrovano e scrivono due pagine (letteralmente, visto che i dischi saranno poi due) in linea con il loro racconto. “First Two Pages Of Frankenstein” è solido anche senza le numerose collaborazioni e “vince” su “Laugh Track” solo per una coerenza narrativa più in luce e meno urgente. Senza scossoni, solita classe. (Andrea Fabbri)

 


 

21. PJ Harvey – I Inside The Old Year Dying

Una sorta di ritorno alle radici rurali, tra registrazioni on field, versi di animali, fruscii e strumenti tradizionali, quasi a riappropriarsi delle proprie origini, senza disdegnare nuove sperimentazioni. Il nuovo disco di PJ Harvey mescola suoni, immagini e sensazioni contrastanti, come succede nei sogni. (Sara Bernasconi)

 


 

20. Sampha – Lahai

Tra le pieghe new soul del nuovo disco di Sampha, producer inglese giunto alla seconda prova in studio, si annida qualcosa di oscuro che incanta e attrae. (Paolo)

 


 

19 – PAWS – S/T

A quattro anni dal precedente lavoro, i PAWS sono tornati con il loro consueto carico di perturbabilità, velato da una patina melodrammatica che rimanda ai conterranei Frightened Rabbit e all’emocore anni ’90. (Paolo)

 


 

18. Palehound – Eye On The Bat

L’alt-folk dei Palehound di Ellen Kempner si fa sempre più graffiante in questo quarto capitolo della loro discografia. L’ottimo songwriting della leader si sposa alla perfezione con le distorsioni distribuite qua e là per dare phatos ai brani. A volte sembra di sentire i Big Thief più oscuri, calati in atmosfere ninties. (Paolo)

 


 

17. Italia 90 – Living Human Treasure

L’album di debutto del gruppo britannico conferma l’energia e la spinta dei loro live e dei singoli di anticipazione. Testi ironici, approccio irriverente, post-punk e new wave: niente di nuovo? Teoricamente, ma nella pratica questo disco è una bella ventata d’aria: le chitarre e le atmosfere cupe piacciono ancora ai ventenni. (Sara Bernasconi)

 


 

16. Mitski – The Land Is Inhospitale And So Are We

Il settimo album di Mitski è una piacevole sorpresa. L’artista statunitense di origini giapponesi sfodera un canzoniere country folk dal sapore vintage, alla maniera di Cat Power e Angel Olsen, di pregevolissima fattura. (Paolo)

 


 

15. King Krule – Space Heavy

Spaesato e spaesante, decisamente poco commerciale, poco orecchiabile. E sono tutti pregi.

 


 

14. Sufjan Stevens – Javelin

Magia sempre intorno a te, senza abracadabra. (Tum)

 


 

13. Jacob Slater – Pinky, I Love You

Per creare un gioiellino non serve poi molto… Una chitarra pulita, una voce emozionante, una classe cristallina. (Andrea Manenti)

 


 

12. Woods – Perennial

“Perennial” è il dodicesimo album di una band esperta che veleggia verso il ventennale di carriera, un lavoro ispirato dal processo di loop di chitarra, tastiere e batteria che si sviluppa una sorta di meditazione sonica rituale. (Tum)

 


 

11. Caroline Polachek – Desire, I Want To Turn Into You

L’isola pop di Caroline Polachek è un luogo sorprendente in cui l’artista fonde le sue multiformi nature musicali per esplorare il tema del desiderio. Astratto e materico, digitale e organico, l’album è il ricco prodotto dell’eclettismo di Polachek e della sua inconfondibile qualità vocale. (Mattia Sofo)

 


 

10. Lana Del Rey – Did You Know There Is A Tunnel Under Ocean Blvd

Un disco che è una domanda posta all’ascoltatore e in cui nelle 16 canzoni in esso contenute prova a dare delle risposte, che forse neanche arrivano. Composizioni di sincera bellezza, in alcuni passaggi fin troppa: A&W rimarrà come uno dei pezzi migliori di questi anni. (Andrea Fabbri)

 


 

9. The Murder Capital – Gigi’s Recovery

Forse è troppo presto per dire cosa diventeranno questi ragazzi, ma quello che è certo è che sempre più raro assistere a live che onorino così bene il loro scopo più puro, ossia la musica. E i The Murder Capital lo sanno fare. (Sara Bernasconi)

 


 

8. Yo La Tengo – This Stupid World

“This Stupid World” possiede la fiamma che lo eleva immediatamente al livello dei grandi album della band di Hoboken. (Andrea Manenti)

 


 

7. Sparklehorse – Bird Machine

Il disco, curato dal fratello Matt e sua moglie Melissa, è stato pubblicato in maniera assolutamente fedele rispetto a come avrebbe voluto fosse dato alle stampe lo stesso Mark, se quest’ultimo non avesse scelto un finale ben più triste. (Andrea Manenti)

 


 

6. Wednesday – Rat Saw God

L’alt-rock dissonante dei Wednesday arriva direttamente dall’America più profonda. È nelle immagini della quotidianità di Asheville e nel passato della provincia che la band trova la sua anima, rafforzata dall’intensità dei feedback e delle dissonanze. (Lucrezia Lauteri)

 


 

5. Wilco – Cousin

L’atmosfera, torbida ma in senso buono, è quella del dormiveglia che precede le prime luci del mattino. Qualcosa che ha molto a che fare con Lou Reed, ma meno sporco e claudicante. Questo clima autunnale e chiaroscurale pervade l’intero album. (Paolo) – Recensione

 


 

4. Grian Chatten – Chaos For The Fly

Chatten in questa prima (e unica?) prova da solista sfrutta i suoi punti forti, quelli che l’hanno reso originale e facilmente riconoscibile, non disdegnando qualche digressione in territori che a prima vista sembrerebbero essere a lui lontani. (Andrea Manenti) – Recensione

 


 

3. Slowdive – Everything Is Alive

 

Gli Slowdive sono un’istituzione nell’universo shoegaze. Nonostante questo incontrovertibile paradigma, il nuovo album suona al cento per cento come un nuovo lavoro della band di Reading pur suonando poco o nulla shoegaze. (Andrea Manenti) – Recensione

 


 

2. Boygenius – The Record

Le Boygenius hanno scritto un classico. Ora tocca a noi scoprirlo e predicarlo con amore. (Andrea Manenti) – Recensione

 


 

1. Blur – The Ballad Of Darren

“The Ballad Of Darren”, il nono disco in studio dei Blur, vale la pena di essere ascoltato con attenzione. E ora che avete cominciato a farlo partire, capirete subito il perché: ha pochi fronzoli ed è dannatamente attuale pur senza perdere l’aura che ha reso i quattro amici londinesi una delle rock band più fighe del pianeta. (Tum) – Recensione