Gli Slowdive sono un’istituzione nell’universo shoegaze. Nonostante questo incontrovertibile paradigma, il nuovo album suona al cento per cento come un nuovo lavoro della band di Reading pur suonando poco o nulla shoegaze. In “Everything Is Alive”, infatti, in linea con il discorso già avviato nel precedente disco omonimo, il primo post-reunion, non troverete chitarre sovrapposte all’infinito e tendenti spesso a sfociare in feedback. Come detto, però, l’atmosfera è la stessa riconoscibilissima che gli Slowdive riescono a generare ad ogni uscita discografica o in versione live: un mix di sogno, dolcezza e culla d’onde marine.
L’introduzione è affidata a Shanty, un riuscitissimo incontro fra suoni elettronici e delay chitarristici esaltati dalle due melodiose voci, maschile e femminile, di Neal Halstead e Rachel Goswell. Coraggiosa la scelta di continuare con un brano strumentale, una Prayer Remembered che giocando su un riff pericolosamente simile a quello della recente ma già immortale Sugar for the Pill, porta l’ascoltatore a immergersi in un susseguirsi di paesaggi fino a farne completamente parte. Alife poggia su un ricamo chitarristico destinato a diventare storico tra i fan del gruppo, Andalucia Plays rallenta il ritmo al tempo del battito del cuore commuovendo con la sua melodia.
Kisses, unico brano già proposto dal vivo a Ypsigrock Festival lo scorso agosto, è il giusto singolo per chi sentiva la mancanza degli Slowdive da sei anni a questa parte. Skin in the Game, e in modo diverso anche Chained to a Cloud, si avvicina a territori esplorati recentemente da un’altra istituzione del dream pop (non shoegaze) come i Beach House. A concludere l’album, forse il brano più adrenalinico del lotto, una The Slab al cardiopalma.
Più eighties che nineties, “Everything Is Alive” dimostra in verità che gli Slowdive sono ancora, a trentaquattro anni dalla nascita, inseriti coerentemente e con grande maestria nella contemporaneità. Prova ne è un disco che, forse non raggiungendo gli apici del precedente, è comunque un’opera d’arte valida ed esaltante: chapeau.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman