Ci sono album che ci hanno fatto innamorare. E che hanno avuto più peso specifico di quello che si sarebbero mai immaginati i loro autori. Peso che probabilmente mai avrebbero considerato il giorno in cui le loro strade si divisero. Uno di questi è sicuramente “On Fire”, secondo lavoro dei Galaxie 500.
Si conobbero a Cambridge, Dean Wareham, Damon Krukowski e Naomi Yang, prima di incontrare il produttore Mark Kramer, che decise di puntare su di loro, prendendoli sotto la propria eccentrica quanto bizzarra ala protettrice.
Suono minimale, sporco, con un motore a giri bassi, incredibilmente lo-fi, ipnotico, che sa tanto di Velvet Underground, “On Fire” dei (soli) tre album dei Galaxie 500 (il nome, per chi non lo sapesse, è preso da un’autovettura Ford degli Anni ’60) è sicuramente quello più iconico.
La struttura dell’album è chiara, quanto organica: attacchi che sembrano quasi dismessi, abulici e autunnali, a tratteggiare paesaggi emozionali desolati e malinconici, per un lento crescendo sognante che, nel suo essere alienato e rassegnato, trova inneschi melodici e armonici di rara bellezza, cori tra il celestiale e l’anestetizzato, distese di chitarra indimenticabili.
In una precisione strumentale quasi chirurgica nella sua pur apparente semplicità, le deviazioni stilistiche e dal tracciato sono ridotte al minimo, ma quando presenti, sono pennellate d’oro: la lunga e nevrotica coda di When Will You Come Home, il sax di Ralph Carney che arricchisce Decomposing Trees, la voce angelica di Naomi in Another Day, la dedica a Sua Maestà George Harrison nella chiusura demandata a Isn’t It a Pity.
“On Fire” è una sorta di risposta interiorizzata ed entropica alle esplosioni garage e grunge che caratterizzavano lo stesso periodo nel loro paese. Basta l’ascolto per liberarsi delle velleità di trovare un’etichetta a tutti i costi. Solo più avanti si cercherà di definire il prodotto: dream pop, slowcore, sadcore, lo-fi, psichedelia.
Dopo “On Fire”, arrivò “This is Our Music” nel 1990, quindi le strade si divisero. Come detto, probabilmente i Galaxie 500 non sapevano che sarebbero entrati nella storia, come una leggenda. Leggenda a cui dozzine e dozzine di gruppi a venire pagheranno il giusto tributo.
Anban