canarie band

Ho scoperto Canarie, il duo formato da Paola Mirabella e Andrea Pulcini, nell’estate del 2019 con un disco sontuoso: “Tristi Tropici”. Bello. Caldo. Assolato. Appassionato. Avvolgente. Devastantemente malinconico. Troppo poco conosciuto. Troppo poco apprezzato. Una pietra preziosa più unica che rara nel mare magnum della musica odierna, che sforna troppi tappi di plastica scambiati per perle. Un album che da ormai due anni ascolto a loop mentre scrivo, mentre guardo l’Italia scorrere dal vetro del treno o mentre guido sulle autostrade assolate ricordandomi di quando per andare in giro non ci voleva un alibi.

Per caso, anche se io non credo al caso ma alla legge di risonanza, la redazione di indie-zone ha chiesto proprio a me di recensire il loro nuovo album. Quando ho letto la loro mail ho avuto la stessa reazione di quando un mio difensore segna una tripletta al fantacalcio. Ciononostante sono anche consapevole del fatto che 1) si, sono parecchio di parte e sto partendo da un pregiudizio iper positivo 2) avere aspettative molto alte può essere un rischio.

Procedo quindi ad ascoltare questo album con la stessa eccitazione con cui da ragazzino aprivo un nuovo gioco del Super Nintendo. Si chiama “Immaginari – Parte 1”, quindi i pochi neuroni sopravvissuti alla mia giovinezza etilica suggeriscono timidamente che prima o poi uscirà un “Immaginari – Parte 2”. Questo nuovo disco, di primo acchito, sa d’autunno. O comunque di vetri rigati dalla pioggia, di mille gocce illuminate dalle prime luci della sera. E di scopate pomeridiane. Ops, l’ho detto?! Sì dai, l’ho detto.

Lo stile è quello tipico di Canarie: leggero, pizzicato, melodioso, inconfondibile ma mai uguale a sé stesso. Altrimenti non si spiegherebbe come siano riusciti a tirar fuori due anni fa un disco che sapeva di mare e margarita, e ora questo che sa di letto e latte. Di cosa dovrei parlarvi? Degli arrangiamenti? Dei ritmi? Di queste due voci di uomo e donna che si amalgamano egregiamente senza mai appiattirsi e confondersi? No ragazzi, ascoltate il disco, chiudete gli occhi e partite per un bel viaggio. È più corretto. Più onesto da parte mia. Più coerente con un ipotetico libretto di istruzioni per l’uso.

I testi, ca va sans dire, sono tenui ed evocativi, solo apparentemente non sense, come quelli di Calcutta, che però poi con un po’ di vodka in corpo diventano molto più leggibili, quasi eloquenti. La traccia che spicca tra tutte è Basmati: sembra musicata da Fabio Concato e scritta dal De Gregori anni ’80. Altra gemma della corona è Universo, col suo arrangiamento allegramente dream pop in riviera italiana.

Fidatevi anche se non vi ho dato molti dettagli ma tante sfumature di colore: ascoltate “Immaginari – Parte 1”, regalatevi questi ventiquattro minuti di relax dell’anima. E soprattutto recuperate anche il loro album d’esordio “Tristi Tropici”. Se non lo conoscete vi garantisco che sarà LA vostra scoperta musicale del periodo. Buona scioglievolezza interiore.

Marco Improta

 

Artwork: Gianluigi Toccafondo