Milano, 28 luglio 2022

Doveva essere una super serata, e lo è stata. Purtroppo, però, è durata troppo poco. L’hype per il concerto Alice Phoebe Lou, che aspettavamo in tanti da tempo, era bello alto. Le nuvole gonfie e incazzose che si accavallavano sul cielo di Milano non mi hanno fatto demordere, né perdere le mie belle speranze. Spoiler: forse avrei dovuto.

E quindi via, chiudi in volata il PC di lavoro, infilati in macchina con il telefono ancora appiccicato all’orecchio, buttati nel traffico delle sette e mezza e vola dall’altra parte della città ascoltando “La Zanzara” (il programma che più mi solleva, perché mi ricorda che comunque sia andata la mia giornata, poteva andare decisamente peggio).

L’opening del live è previsto per le 20 (non comodissimo), e si tratta di Olmo, al secolo Francesco Lo Giudice, un ragazzo cresciuto tra Italia e UK e ora berlinese, davvero interessante. Quest’anno è uscito il suo secondo album, “The Trunk”, in cui mi sono imbattuta per caso, ma che mi ha conquistato. Ergo, voglio proprio sentirmelo live. Spoiler: non ci riuscirò.

Arrivo giusto in tempo per beccarmi l’ultimo pezzo e sentire i primi goccioloni che mi cadono in testa. Afferro una birra in volata e mi piazzo al coperto in attesa che spiova, feeling old. La folla di giovani ragazze vestite da Coachella – mi sembrano in gran parte straniere – che popola il sottopalco, infatti, non è per nulla preoccupata dall’acqua, anzi. Raggiungo i miei amici e prendo delle patatine per farmi coraggio e sentirmi anche io un po’ trasgressiva. In un attimo sono le 21, inizia il concerto.

La pioggia sembra darci tregua e lasciarci godere la magica voce della cantautrice sudafricana, che per quanto si dichiari stanca dal tour a me sembra più in forma che mai. Noi siamo qui per prenderci bene e festeggiare il quasi weekend. Apre con una tripletta di tracce dall’ultimo disco “Glow”: Only When I (una delle mie preferite), la title track e Mother’s Eyes.

Mi lascio avvolgere dalle note del suo folk venato di dream pop, la serata sta prendendo la piega giusta, intorno a me c’è solo gente presa super bene, tanti cantano i testi a memoria e sono quasi stizziti se sentono qualcuno chiacchierare e spezzare l’incantesimo. Cosa può andare storto? Nulla, mi dicevo. Spoiler: mi sbagliavo.

Gesù non deve volere molto bene a noi amanti della musica un po’ triste, e difatti dopo poco ricomincia a piovere. All’inizio piano e quasi piacevolmente (o meglio, piacevole per quelli saggi e attrezzati che sono arrivati con ombrelli, kway e giacche in GORETEX, non come me vestita solo di una misera camicia che si è giustamente infradiciata dopo venti secondi netti), ma nel giro di mezz’ora ci si scaricano addosso delle secchiate di acqua che rendono – giustamente – impossibile proseguire il concerto. Ci accalchiamo tutti al coperto (e al bar), nella speranza che ci venga fatta la grazia e smetta di diluviare. Spoiler: speranza vana.

Eccoci quindi “gentilmente” scortati fuori dal locale (i bodyguard erano on fire all’idea di tornare a casa tre ore prima del previsto), finiamo la nostra birra tristemente sotto la pioggia e torniamo verso casa. Dopo tre (anzi ben di più) mesi di siccità, non sarò certo io a lamentarmi della pioggia… Però che tempismo, ragazzi. Alice, speriamo nella prossima!

Giulia Zanichelli