Più o meno vale lo stesso giochino che abbiamo fatto con i dischi sorpresa, ma al contrario. Vale a dire: nel 2021 sono stati pubblicati dei dischi dai quali ci aspettavamo tanto e che invece hanno deluso le nostre previsioni. Dai grandi nomi, almeno per noi, alle promesse mantenute soltanto in parte. Si tratta di delusioni, appunto, proprio perché parliamo di artisti che abbiamo sempre apprezzato. Ne abbiamo selezionati tre sulla base della media dei voti (bassi, in questo caso) di tutti i nostri recensori.
Ps. Se ve le siete perse, qui trovate la nostra classifica dei dischi internazionali e qui quella dei dischi italiani.
Fast Animals and Slow Kids – È Già Domani
Lo abbiamo ascoltato e riascoltato parecchie volte. Alla fine qualche ritornello si è pure incastrato nella mente. Ma se il criterio deve essere quello dell’ascolto forzato e ripetuto allo sfinimento, beh, vuol dire che qualcosa non funziona. “E’ già domani”, l’ultimo disco dei Fast Animals and Slow Kids, conferma quanto avevamo purtroppo previsto dopo l’uscita del precedente “Animali Notturni”. La band perugina è entrata in una fase di progressivo declino, dal quale uscirà difficilmente. Archiviate le chitarre abrasive e l’urgenza generazionale che tanto ci avevano appassionato nei loro migliori lavori, questo nuovo capitolo ci propone una versione annacquata del gruppo che fu. L’impressione è che Aimone Romizzi e soci, ripuliti anche nell’immagine, vogliano a tutti i costi strizzare l’occhio al mainstream, pur sforzandosi di mantenersi in qualche modo ancorati al passato. Più per dovere che altro. Il risultato è una via di mezzo che non convince.
The Vaccines – Back in Love City
Il discorso fatto per i Fast Animals and Slow Kids vale sostanzialmente anche per i Vaccines. La parabola del gruppo inglese, nonostante il nome più che mai alla moda (scusate, non ce l’ho fatta a non scriverlo), attraversa una fase calante ormai da parecchi anni. Provate a immaginarvi a un concerto dei Vaccines oggi. Cosa ci andreste a fare? Ma certo, ad ascoltare i vecchi pezzi. Quelli che ballavate sui dancefloor indie-rock dei primi anni Dieci. La musica prodotta dai Nostri in epoca più recente, quindi, ha un peso relativo. Bisogna comunque ammettere che hanno provato a rinnovarsi, questo è vero. Ma con quali esiti? “Back in Love City” li vede alle prese con un pop-rock danzereccio che spesso e volentieri finisce dalle parti degli ultimi Coldplay, dei Killers (quando va un filino meglio) o addirittura degli One Direction (quando va peggio). Qualche lampo interessante non manca, soprattutto quando si guarda allo spaghetti-western morriconiano, ma non basta.
The War On Drugs – I Don’t Live Here Anymore
Duole ammetterlo, ma questa volta la freccia scoccata dalla chitarra di Adam Granduciel non ha centrato il bersaglio. Non in pieno, almeno. Dopo una buona partenza affidata alla struggente e pianistica Living Proof, l’onda lunga di “I Don’t Live Here Anymore”, quinto album in studio dei War On Drugs, inizia a incresparsi su un eccessivo manierismo rock anni Ottanta. Lo sappiamo, quel tipo di sonorità, tra Dylan, Springsteen, Dire Straits e Tom Petty, è sempre stata il marchio di fabbrica della band americana. Questa volta, però, si è forzata un po’ troppo la mano. Tanto che già a metà del disco scappa qualche sbadiglio. Tutto troppo stereotipato e impacchettato con carta lucida. Un vero peccato, perché era uno dei dischi dell’anno che aspettavamo con più interesse.
Paolo

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.