royal republic recensione

Sia subito ben chiaro: anche questo “Club Majesty”, quarto lavoro in un decennio per la band di Malmö, raggiunge pienamente la sufficienza. C’è però da dire che chi avesse imparato ad amare i Royal Republic ai tempi dei primi due album, “We Are the Royal” e “Save the Nation”, due vere e proprie bombette rock’n’roll come solo gli svedesi sanno confezionare, potrebbe trovare abbastanza indigesto quest’ultimo lavoro, come un dolce un po’ troppo zuccherino alla fine di un succulento pasto.

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Scegliendo una strada già in parte esplorata nel penultimo disco “Weekend Man”, i Royal Republic di oggi sono una band d’intrattenimento, poco affine a trasmettere emozioni e totalmente dedita al raggiungimento di un unico obiettivo: quello di far ballare chiunque. Ecco quindi che il punk degli esordi si è trasformato in un “quattro quarti disco”. Allo stesso tempo, anche il vocalist Adam Grahn, grandissimo animale da palcoscenico, ha levato i panni da Johnny Rotten a favore di quelli più istrionici e tamarri di un Freddy Mercury scandinavo.

Qualche fiamma in ricordo dei vecchi tempi ancora rimane: Bulldog è una scheggia impazzita alla Hives, Stop Movin’ un tiratissimo surf da terzo millenio. Degne di nota anche la ballad sabbathiana Like a Lover e i fiati blues del singolo Boomerang, da scordare invece gli influssi anni Ottanta di Anna-Leigh, che poggia su un ritornello che manco gli Spandau Ballet.

La foto di copertina recita: “Ogni notte per l’eternità”. Speriamo i nostri parlino del rock’n’roll (che sanno fare e bene) e non solo di quest’ultimo “Club Majesty”.

Andrea Manenti

 

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