Dopo trentasette anni di carriera, i Flaming Lips hanno veramente ancora qualcosa da dire? Dopo le ultime prove discografiche, apprezzabili ma un po’ manieristiche (l’integra riproposizione del capolavoro dei Beatles “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” in “With a Little Help from My Fwends” del 2014, l’elettronico “Oczy Mlody” del 2017 e la colonna sonora per mostra d’arte con tanto di spoken word di Mick Jones dei Clash dello scorso anno), qualche dubbio era giusto porselo.

Invece Wayne Coyne e compagni stupiscono. E lo fanno con un album di pop spaziale, ispirato al David Bowie di Space Oddity (spesso riproposta dal vivo dalla stessa band), Life on Mars?Starman. Un disco che non ha nulla da invidiare ai capolavori più osannati del gruppo dell’Oklahoma, da “The Soft Bulletin” a “Yoshimi Battles the Pink Robots”, che pur avendo ormai vent’anni sono ancora l’ossatura principale di qualunque loro scaletta live.

“American Head” è composto da tredici canzoni che cullano e contemporaneamente disorientano l’ascoltatore. Coyne sembra parlare direttamente ad ognuno di noi e lo fa analizzando temi quali la morte, le droghe, la giovinezza. Lo fa non da “maschera”, ma da persona consapevole e matura. Ti abbraccia e ti fa piangere.

I suoni utilizzati sono semplici ma messi al posto giusto: un pianoforte, una chitarra e poco altro. I brani sono volutamente pop ed orecchiabili, figli dei già citati Beatles e Bowie, semplicemente belli. Ascoltate il singolo Mother Please Don’t Be Sad oppure Assassins of YouthAt The Movies On Quaaludes o ancora You n Me Sellin’ Weed. Ascoltateli tutti, godete e ringraziate che esistano ancora band che fanno album così.

Andrea Manenti