The Coral, compagine inglese del Merseyside attiva sin dalla fine degli anni Novanta, sono l’esempio perfetto di una band sottovalutata (e in Italia ancora di più). Esponenti di un certo revival dei magnifici Sixties inglesi, in origine rivisti attraverso la lente del garage, poi in una rilettura hard rock, oggi i cinque nostalgici sembrano abbandonare qualsiasi visione deformante a favore di una lucida fotografia a colori sul decennio di Beatles e Rolling Stones, ma soprattutto di Kinks, Who, Small Faces e Pretty Things. Il tutto condito con giusto un pizzico di psichedelia.

Coral Island”, il loro decimo lavoro in studio, è un doppio concept album con tanto di voce narrante (quella del tastierista Nick Power) sui fasti di un’immaginaria ed immaginifica età dell’innocenza, che forse non c’è mai stata né in quel regno di Albione più volte cantato dal contemporaneo Pete Doherty, né nella Londra beat che chissà se era poi veramente tutta rose e fiori, né nella gioventù bambinesca degli ormai cresciuti rocker.

I ventiquattro brani in scaletta scorrono leggeri e senza intoppi. Anche dopo più ascolti, chiedono di essere ancora riascoltati (un piccolo grande miracolo nell’industria discografica di oggi). È così che ci si ritrova a battere il piede sul riff rock’n’roll di Lover Undiscovered, si sogna di rotolare nudi in un prato durante Vacancy o di volare sulla Lambretta in completo elegante con i soci in My Best Friend, di vedere le rockstar fumare alle porte dei locali nella Swingin’ London durante Golden Age, ballare con la più bella del liceo in qualche vecchia fotografia sulle note di Old Photographs o infine di sbronzarsi sulle rive del Tamigi snocciolando come un rodato crooner parole e melodia di The Calico Girl. “Coral Island” è un bellissimo viaggio nel tempo. Accendete la DeLorean.

Andrea Manenti