
Dopo la sbornia lacrimosa del suo ultimo lavoro solista “Inevitable Incredible”, Kelly Jones è tornato con i suoi Stereophonics per buttar fuori un dischetto, il tredicesimo, che non è niente male. I gallesi fanno quello che sanno fare meglio, un brit pop che in quanto a longevità non ha probabilmente eguali, regalando a noi ascoltatori otto nuovi brani che entrano di diritto nel loro canzoniere per innegabile qualità.
L’inizio è affidato al futuro classicone Make It On Your Own, che fra chitarroni, archi, melodia e individualismo da rocker, riporta subito alla mente i migliori e indimenticati anni Novanta. There’s Always Gonna Be Something è una ballad semiacustica puramente Sterephonics, mentre la batteria elettronica di Seems Like You Don’t Know Me non può che farci pensare al periodo “Language. Sex. Violence. Other?”, l’album dell’immortale Dakota.
Nella tripletta successiva, Kelly Jones e soci giocano a omaggiare i loro miti senza perdere un briciolo d’identità: ecco l’Elvis crooner spuntare in Colours Of October, i seventies hard rock fra Black Sabbath e Led Zeppelin in Eyes Too Big For My Belly e il Neil Young versione country folk in Mary Is A Singer. Backroom Boys è un’ottima pop song e per il finale ci salutano con la lacerante slide di Feeling Of Falling We Crave. Solo otto canzoni, ma che classe!
Andrea Manenti

Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman
