Facciamo un gioco. Compariamo i meravigliosi Sixties inglesi con i fantastici Nineties del brit pop. In entrambi i casi avremo due band campioni di vendite e destinate a cambiare l’immaginario, non solo musicale, di una nazione: Beatles e Rolling Stones da una parte, Blur e Oasis dall’altra. Al terzo gradino del podio troveremo poi band importantissime, ma non così universali. Band che le nostre mamme (o nonne) potrebbero non aver mai sentito: eccoci quindi di fronte a Who e Verve. E poi? E poi ci sono quei piccoli grandi segreti, che per ogni appassionato di musica segreti non sono, chiamati Kinks e Stereophonics.

Sì, perché la band di Kelly Jones, come quella dei fratelli Davies, pur non avendo mai goduto di un vero e proprio successo planetario, ha fatto spesso e volentieri sobbalzare i cuoricini di ogni ascoltatore di musica pop. Sono passati trent’anni esatti dalla nascita della compagine gallese e ci troviamo davanti al loro dodicesimo album. Un album che ha avuto una genesi particolare (doveva essere solo una compilation di vecchi brani ripescati fra quelli non pubblicati ufficialmente) e che poi è diventato una delle migliori uscite della band negli ultimi quindici anni.

Fra melodie cristalline esaltate dalla sempre stupenda voce del frontman, giochi americani e un classicismo che riprende dal sound dei primi lavori, gli Stereophonics ci regalano infatti un ottimo album. Difficile non muovere i fianchi con l’iniziale Hanging On Your Hinges, figlia degli ZZ Top più bluesy, impossibile non emozionarsi con il singolone Forever o non cantare a squarciagola i ritornelli di When You See It e Do Ya Feel My Love?. È quindi il momento di lasciarsi cullare dalla ballatona Right Place Right Time, di esaltarsi con All I Have Is You, il brano che gli U2 non sanno più scrivere, di immaginarsi cowboy con i capelli al vento su una highway americana in Don’t Know What Ya Got o su una veranda a divertirsi con gli amici nella conclusiva Jack in a Box. Kelly e Richard, è sempre un piacere.

Andrea Manenti