moses sumney grae cover

Che la black music americana sia uno dei generi più innovativi e credibili di questo millennio è cosa ormai assodata. Basti pensare a questo 2020 e alle uscite discografiche di artisti quali Childish Gambino, Thundercat o The Weeknd. Moses Sumney, però, non va inserito direttamente in questo stesso calderone. Il giovane cantautore della North Carolina, qui al secondo album, si distacca infatti dai nomi citati, ma anche da altri pesi massimi come Kendrick Lamar e Anderson .Paak, soprattutto per il decennio di riferimento abbracciato dalla sua musica, i favolosi Anni Settanta, e per l’approccio minimale diventato il suo marchio di fabbrica.

“grae”, frutto di tre anni di lavoro, è un disco lungo (ben venti pezzi per più di un’ora di durata), completo ed emozionante. Se la straordinaria duttilità vocale di Sumney dovesse non piacere al primo ascolto, il consiglio è quello di insistere, perché altrimenti vi perdereste canzoni che hanno del prodigioso. Soul, jazz, classica (!), rock si coagulano infatti alla perfezione. Straniante, dato l’anno che corriamo, la totale assenza di un genere come l’hip hop (unico punto d’incontro i cinque skit presenti in scaletta), nonché la decisione di suonare per davvero quasi tutte le canzoni (lo spazio lasciato all’elettronica è pochissimo).

Lasciatevi quindi trasportare dal riff portante di basso di Cut Me (una Stand by Me contemporanea), esaltatevi con il groove rockeggiante di Virile, innamoratevi del mix fra jazz-ballad, notturno chopeniano e atmosfera spaziale alla David Bowie di Gagarin, danzate leggermente con la trascinante Neither / Nor.

E ancora: canticchiate l’acustica Polly, stupitevi ascoltando la suite classica di Two Dogs, ammirate l’eccezionale qualità vocale di Moses in Bystanders. Segnaliamo anche le bellissime Me in 20 YearsKeeps Me Alive e l’ipnotica Before You Go, che chiude questa opera d’arte. Uno degli album dell’anno.

Andrea Manenti