La maturità nel classicismo. Un classicismo, sia chiaro, tutto loro. Ecco il punto d’arrivo di una macchina da guerra a nome Melvins, raggiunto ormai da anni e qui riconfermato con questo nuovo “Pinkus Abortion Technician”. Gli iconici Buzz Osborne e Dale Crover, accompagnati per l’occasione da un’accoppiata di bassisti formata da Steven McDonald (già con Redd Kross ed Off!) e Jeff Pinkus (membro storico dei Butthole Surfers con i quali, guarda caso, 31 anni fa esordì con quella botta chiamata “Locus Abortion Technician”), in questa trentesima prova discografica si divertono a giocare con il loro passato, mischiando le varie influenze per sfornare l’ennesima, ottima pubblicazione.

L’avvio alle danze è affidato a Stop Moving to Florida: inizio hardrock classico con tanto di riffone, melodia vocale e assolo di chitarra, il tutto fra Black Sabbath e Led Zeppelin. Ma a metà canzone arriva una serie folle di stop & go accompagnati da una voce assolutamente delirante. Il finale del brano è affidato ad una pachidermica rincorsa, dominata dall’enorme suono del basso. Embrace the Rub è punk-hardcore sparato a mille, mentre Don’t Forget to Breathe vive di un groove sexy e di un’atmosfera seventies con tanto di riff pianistico che sembra ispirarsi alla coppia Iggy/Bowie dei tempi di China Girl.

Flamboyant Duck è una ballata elettro-acustica (sì, i Melvins del 2018 possono permettersi anche questo!). Con la doppietta Break Bread/Prenup Butter, invece, i nostri sembrano riappropriarsi di ciò che hanno contribuito a inventare, seppur stilisticamente non ne abbiano mai fatto veramente parte: il grunge. La prima delle due canzoni sembra infatti suonata dai Soundgarden di “Badmotorfinger”, mentre la seconda dagli Alice In Chains dell’album omonimo. I Want to Hold Your Hand è una cover ciccionissima del classico beatlesiano, infarcita di gustosissimi fuzz. Infine Grave Yard è il brano più classicamente Melvins del lotto: lento, cupo, sporco, intenso. Ancora una volta, lunga vita ai Melvins.

Andrea Manenti