Giorgia D’Eraclea è una giovane ragazza di origini valtellinesi, così innamorata del rock‘n’roll che ha deciso di calare verso la Brianza per realizzare il suo obiettivo: esprimersi attraverso la musica. “Siamo tutti stanchi” è il suo secondo album pubblicato con il moniker Giorgieness. I Giorgieness (che in italiano si può tradurre più o meno in “giorgietà”, o essenza di Giorgia) sono una band, questa volta composta da Davide Lasala (chitarre e pianoforti), Andrea De Poi (basso) e Lou Capozzi (batteria), che completa e dà forza all’elemento centrale del gruppo, cioè Giorgia stessa.

La musica dei Giorgieness è il classico rock all’italiana, quello che ci siamo inventati più o meno negli anni ’90, e che sembra essere totalmente passato di moda. Purtroppo. Sostituito dai sintetizzatori new wave (quelli posticci odierni) e rimpiazzato dalle batterie programmate della musica elettronica. Un sound di cui si sente sempre più un disperato bisogno, in cui ogni riff di chitarra distorta suona come una boccata d’ossigeno.

La declinazione al femminile di questo sottogenere è sempre stata rara, ultimamente quasi scomparsa. Sembra che la strada tracciata da grandi donne/cantanti come Cristina Donà e Carmen Consoli abbia smesso di essere un interessante veicolo espressivo per le ragazze di oggi. Le voci femminili odierne si dedicano chi al pop, chi all’indie e chi al rap/soul/rnb. Le rock band con una forte presenza femminile come Any Other, Be Forest e Gomma (solo per fare qualche esempio) hanno invece intrapreso strade più alternative ed esotiche per essere ricondotte a quanto sopra.

Le dieci canzoni del disco si riferiscono, da un punto di vista emotivo, a delle circostanze ben precise della vita di Giorgia. Sembra di capire che un rapporto importante si sia interrotto, in una maniera non proprio carina, e che lei non l’abbia presa bene (di certo lui è una brutta persona dato che si è tenuto pure i gatti di lei). Più che delle canzoni d’amore possiamo trovare delle canzoni di non amore, di antipatia, rabbia e a volte forse anche di odio.

Nonostante questo, i pezzi risultano universali e di facile immedesimazione grazie all’ottima capacità di scrittura. Chi non vorrebbe urlare un liberatorio: «Già la vedo che entra in casa/che dorme nelle mie lenzuola/si fa le sue foto dimmerda/con la sua faccia da stronza»?
Insomma, un bell’album che arriva in un trimestre di ripresa, sia del PIL italiano che di pubblicazioni musicali nostrane, ma che si inserisce in un anno decisamente povero. Per questo brilla ancora di più.

Lesterio Scoppi