Sono ormai ventun’anni che i Death Cab For Cutie cantano di relazioni a distanza, complicate, oppure appena finite, alcune bene, altre male. “Thank You For Today”, il nuovo album, è la prova definitiva che non hanno alcuna intenzione di smettere. Mentre il suono sembra continuare ad arricchirsi e a trasformarsi di album in album, mai esageratamente, con i synth che acquistano un ruolo più importante in quest’ultimo rilascio che in tutti i precedenti, le tematiche affrontate nei testi restano costante, forse anche troppo.

L’album si apre con I Dreamt We Spoke Again, un suono pulito e delicato, una canzone discreta che, senza imporsi, quasi con timidezza, introduce il resto del disco. La canzone è bella, ma non ha un perno centrale attorno a cui ruotare: così come inizia, la canzone finisce, senza apice o variazioni; solo alcune brevi sezioni elegantemente dominate dalla chitarra elettrica, ripetute nei punti giusti, spiccano un poco nel complesso.

Segue a ruota Summer Years, che cavalca l’onda sonora formata dalla prima canzone con grazia. La parte di basso e la ritmicità propongono poche variazioni rispetto alla traccia precedente: quasi con pigrizia, la canzone, tranne che per un minuto di distorsione sulla chitarra, si sviluppa esattamente come la prima. È una canzone che scivola addosso: a malapena ci si accorge della sua presenza tra I Dreamt We Spoke Again e Gold Rush.

È con Gold Rush che infatti l’album mostra un po’ del proprio potenziale, sia dal punto di vista musicale che nel contenuto. Mentre le prime due tracce ricadono in cliché testuali forse un po’ troppo scontati per una band che crea musica da oltre vent’anni – I […] watch the rain fall through the street lights, canta Ben Gibbard in Summer Years, aggiungendo niente di nuovo all’universo musicale contemporaneo – su Gold Rush la versatilità cantautoriale della band si fa finalmente viva. I temi principali dell’album, fino a quel momento solo accennati, si sviluppano esplicitamente: “I’ve placed faith in geography / to keep you in my memory” canta adesso, invece, Ben Gibbard, mentre racconta di come i ricordi, preservati nei luoghi, negli oggetti, nei vicoli nascosti nelle grandi città, sono destinati a svanire col tempo, con il mondo attorno che cambia, con gli oggetti che diventano obsoleti e i vecchi luoghi che vengono demoliti.

Più avanti l’album continua a esplorare i temi di spazio e tempo: su Northern Lights, Gibbard ci porta in uno spazio e un tempo preciso, siamo a Dyes Inlet, a Washington, US, e siamo nel passato – I remember your sillhouette on Dyes Inlet. Le descrizioni dello spazio circostante dominano la canzone, come il risplendere delle televisioni from the windows of the model homes; case nuove, che sembrano modelli, finte, in miniatura. Forse implicito è un disprezzo, o un senso di smarrimento, di fronte al cambiamento: nostalgia per luoghi e situazioni passate dominano l’album, che in sé stesso, nel tentativo di preservare la memoria di una persona mai nominata, è come se chiedesse: Please don’t change e stay the same.

Anche su You Moved Away, una delle canzoni peculiari dell’album, il tema di luoghi nuovi, vecchi, abbandonati, rinnovati, svuotati, ricompare e viene rinforzato: I walk past your vacant apartment almost everyday […] You left this town with such an empty space. D’improvviso, anche le persone assumono una certa spazialità: con la partenza dell’anonimo you, l’intera città sembra aver perso un pezzo.

Fantasmi, sparizioni, dimenticanze, abbandoni: attorno a questi temi si costruisce l’album. La musica, però, non sembra svilupparsi con la stessa destrezza: la coerenza musicale dell’album è ammirabile, ma se coerenza corrisponde a eccessiva omogeneità tra le canzoni, il risultato si rivela insoddisfacente. Ironico il fatto che l’ultima canzone canti di un supereroe growing bored / with no one to save anymore. Forse anche i Death Cab For Cutie stanno diventando incapaci di produrre musica nuova, innovativa, capace di emozionare? “Thank You For Today” è un album dimenticabile: malgrado sia costellato da canzoni di un certo livello, è dominato da tracce che lasciano a desiderare. Your Hurricane ha più il suono di una pioggerella per cui non vale nemmeno aprire l’ombrello; Autumn Love è indie pop che si immerge nei cliché d’amore e ne esce completamente rovinata. Nonostante l’album cerchi astutamente di creare, traccia dopo traccia, il proprio microuniverso con dimensioni spaziali e temporali, in sé, alla fine, si dimostra piatto e superficiale

Marta Meazza