Quando si pensa al Belgio, le cose che nell’immaginario comune vengono in mente sono quell’orribile bambino che fa la pipì (ma non diteglielo, equivale a bruciargli la bandiera in faccia) e gli “show” del Parlamento Europeo. Lista alla quale i nostri lettori aggiungono birra e dEUS.

Invece ci sono almeno altre tre cose per cui vale la pena ricordarlo: le patatine fritte (sì, le hanno inventate loro, e le friggono due volte nel grasso di mucca), i waffles (aka gaufres, anche questi inventati da loro e rubati dai francesi) e i Balthazar.

Questi ultimi, oltre a non causare intasamento arterioso e picchi imprevedibili di colesterolo, hanno appena sfornato “Fever”, quarto disco che arriva a 5 anni dal precedente “Thin Walls”. Dopo le strade soliste intraprese dai due pilastri della band, Martin Delvodere e Jinte Deprez, rispettivamente sotto i moniker Warhaus e J. Bernardt, i Balthazar si sono riuniti, più maturi, creativi ed energici che mai.

“Fever”, con le sue 11 tracce, si lascia alle spalle le tinte più oscure dei percorsi solisti e dei dischi passati, e acchiappa sonorità trascinanti e affascinanti. E se il suono è decisamente più funk del passato, striato di soul come le iene sulla bellissima copertina e dal groove del basso, alla fine quel che si ottiene è un risultato complesso, ma in sintesi estremamente pop (vedi all’emblematica voce I’m Never Gonna Let You Down).

“Fever” è un album ben costruito, ma mai eccessivo, attraente e venato di positività. Insomma, diamo una possibilità al Belgio. Non sarà come l’Inghilterra o gli Stati Uniti, con tutto quel ben di dio artistico e discografico che si portano dietro, ma se lo merita.

Giulia Zanichelli