Una rincorsa infinita inforcando una bicicletta, una sensazione torrida, la Spumador che non si trova nemmeno più, una camicia sudata, dei baci sull’erba e delle parole appena colte, senza l’imbarazzo di ammettere di essere innamorati senza rimedio. “Uomo Donna” è un bellissimo rischio, che qualcuno ha scelto di correre forse anche con l’incoscienza di quello che sarebbe successo dopo. Andrea Laszlo De Simone lo ha fatto in presa diretta, con un microfono ficcato in gola, tanto che a tratti si sente battere il cuore, il ritmo vitale e l’amore.

La prima canzone dell’album è stata scritta ormai cinque anni fa, nel frattempo altre centinaia di pezzi (secondo lui 300), un figlio e tanti palchi calcati senza briglie, sfogandosi con gli Anthony Laszlo. “Uomo Donna” è una scommessa vinta, perché a conti fatti, anno domini 2017 e con i vecchi dischi di Sanremo in soffitta insieme a un certo lirismo del passato, trovarsi di fronte a un album di settantasette minuti che parla unicamente d’amore è una scelta coraggiosa.

Anche nei modi: le tracce sono particolarmente lunghe e scodano con dei fade-out, in barba a tutti gli skip ai quali siamo abituati oggi, e poi la capacità di Andrea di cesellare le parole fino a trovare la necessità di ripeterle, impastarle con i suoni e i rumori. Come a comprendere che cantare l’amore non è una gara a descriverlo, ma a farlo trasudare con qualsiasi mezzo, conferendo alle parole e alle note la medesima importanza.

Un disco da ascoltare nella sua integralità che fluttua tra Battisti, il prog Italiano, ma anche i Verdena di “Endkadenz Vol. 2” e Iosonouncane per il rumorismo e gli intermezzi strumentali. La stessa traccia finale, Sparite tutti, sembra un omaggio ai Radiohead, che Laszlo non nasconde di ascoltare, seppur non si dichiari un grande ascoltatore di musica.

Ci si trova di fronte a una sperimentazione che, seppur praticata tra le mura di casa, dà vita a un album gigante, una corsa tra i filari della musica, un disco nel quale ci si immerge e se ne esce fuori fradici, storditi, forse anche meno lucidi. Una originalità che può piacere o meno, ma non è mai naif, un calco, anzi, sembra sempre dove andare a parare, cioè a scandagliare la musica in tutti suoi anfratti rinunciando alle “allettanti promesse” di un suono allineato.

Andrea Frangi