“All” è il titolo dell’ultimo lavoro di inediti firmato da Yann Tiersen, che riprende idealmente il suo cammino dal punto esatto in cui si erano interrotte le impronte di “EUSA” (2016). Il sottile filo rosso che lo lega al lavoro precedente è più che mai teso, anche qui le sonorità naturali costellano le varie tracce, andando ad imbastire un paesaggio sensoriale particolarmente fitto, fatto di quella natura minimalista che il compositore ha snocciolato a dovere negli altre nove dischi della sua carriera. Tutto ciò che riguarda le atmosfere locali si inserisce di conseguenza: di fatto è una natura intesa come inno all’abbandono della confusione che permea nelle grandi metropoli, un sogno lucidissimo in cui il pianoforte mantiene fermo il controllo.

Tiersen a sua volta mantiene saldo il suo posto nell’élite dei compositori “strafamosi” per pianoforte, andando ad attingere nuovamente da una tavolozza con una gamma indefinita di colori. Il risultato? Un crescendo emozionale ed avventuroso, che al contempo toglie pezzi per arrivare sempre più a fondo. Il piano, esuberante come deve essere in un lavoro di questa portata e come ci si aspetta da un artista del calibro di Yann Tiersen, da onnivoro protagonista saluta gli archi che vengono in aiuto per le narrazioni più delicate (Usual Road). Le voci che ascoltiamo in questo disco forniscono un’ulteriore prova del fatto che l’incanto non debba essere necessariamente compreso: i testi sono cantati in lingue dal mood evocativo (Erc’h e Koad, solo per citare un paio di esempi), pur non intaccando l’omogeneità che rimane nel suo complesso nel pieno stile dell’artista franco-bretone.

La risata di un bambino (Pell), i cinguettii degli uccelli sulle note di un piano (lento, in Prad): la bellezza di un mondo apparentemente incontaminato (e in cui Tiersen ha scelto di vivere ormai da anni), aspetto che viene continuamente stuzzicato in tutti gli undici (mediamente lunghissimi, eccezion fatta per Aon) pezzi di “All”. La concatenazione dei suoni che si rincorre in lungo e in largo, diventano epicità (Bloavezhoú), a tratti più angosciosa in Gwennilied (strano l’accostamento con dei campanacci da pascolo). I tasti del pianoforte si spezzano infine nella traccia conclusiva, Beure Kentan, in cui il canto viene sostituito da una voce che racconta chissà quale storia. Una scelta narrativa che contempla varie avventure fino ad interrompersi totalmente, per cogliere maggiormente l’essenza delle cose.

“All” si fa prendere per mano da “EUSA” e ne raccoglie l’eredità artistica, aggiungendovi una conduzione quasi liturgica al compito di raccontare con un nuovo lessico la natura circostante, un degno dipinto in cui trovano ampio spazio le note di un pianoforte malinconico, così come le registrazioni della natura in un diramarsi di sonorità elegiache negli arrangiamenti, che ancora una volta stupiscono ma non vanno oltre la loro seppur straordinaria bellezza compositiva.

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Yann Tiersen suonerà a Milano il 14 Marzo, clicca qui comprare i biglietti.

Caterina Gritti