A inizio anni 2000 esplodeva il fenemono indie-rock in America, in contemporanea alla nascita della scena post-punk canadese. Il perfetto connubio tra questi due mondi era rappresentto dai Wolf Parade, bambini prodigio di Montreal che sembravano pronti a fare il botto. Il problema è che la consacrazione non è mai arrivata. La firma con Sub Pop e un paio di album davvero azzeccati (“Apologies to the Queen Mary” e “Mount Zoomer”) non sono bastati a portare la band allo status di main event dei festival.

Tra questo disco e i precedenti passano sette anni di silenzio discografico in cui Spencer Krug e soci si sono dedicati a progetti personali. Il ritorno in studio per i Wolf Parade ha quindi il sapore della reunion. Nonostante questo, i membri della band ritrovano subito il loro sound caratteristico. Eppure, anche questa volta sembra non essere abbastanza.

Alcuni brani sembrano la versione dark di un pezzo pop e quasi tutti faticano a lasciare il segno. Sono evidenti le contaminazioni degli Arcade Fire nel suono di questo lavoro – cosa che andava messa in conto dato che gli ormai ex ragazzi prodigio di Montreal hanno aperto i concerti del tour dei più affermati connazionali. C’è da dire che tutte le aspettative che gravavano sin dagli inizi sulla band canadese hanno sempre pesato sul giudizio delle loro produzioni. Ancora una volta, però, i Wolf Parade presentano un bel disco indie-rock con un sound personale, ma che non riesce ad arrivare alla consacrazione attesa da anni.

Michael Jordan non ha mai voluto che i suoi figli giocassero a basket. Sarebbe stato troppo pesante per loro portare il fardello di avere quel cognome sulla maglia.
È davvero difficile la vita di chi deve essere all’altezza dello status di predestinato.

Simone Casarola (@simocasarola)