“Friends” è il quarto aIbum dei White Lies, band londinese capitanata da Harry McVeigh e autocertificata come post- punk e indie-rock, che con questa incisione riporta in auge uno spirito new wave dai più perduto e dimenticato, peccato o per fortuna a seconda dei casi.
A parte il geniale trucco di mercato per procrastinatori seriali costruito sul loro sito ufficiale (quanti minuti della mia vita persi a percorrere con il mio omino avatar il labirinto della copertina del disco), l’ultimo lavoro del gruppo britannico si ascolta pacificamente, senza grandi scosse né entusiasmi. Non è un album di svolta, né tantomeno uno di quelli a effetto sorpresa, ma è un lavoro ben costruito su un preciso tema e un impiego del mezzo musicale che lo rende orecchiabile e richiama alla mente altri nomi e altre operazioni artistiche. Che questo sia un bene o un male, ai posteri ascoltatori l’ardua sentenza.
Le tracce sono gradevolmente pervase da un sentimento tutto synth e tastiera anni ’80, alcune con un’iniezione elettronica imperante e altre più ricollegate al loro sound tradizionale. Suono che comunque, dal primo disco a questo, ha subito una trasformazione importante, con innesti sconosciuti ai lavori precedenti e richiami che lo rendono più marcatamente pop nel senso di popolari e “digeribili” (emblematiche Hold Back Your Love oppure Don’t Fall).
Un disco tutto disco. E questa agghiacciante battuta forse ne rispecchia appieno la natura: già sentita ma sempre pronta a riemergere, già affrontata con un sorrisino compassionevole e incoraggiante per poi essere velocemente dimenticata o rimossa in fretta e furia, tranne che dai veri appassionati di tristi freddure.
Giulia Zanichelli
Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.