Che la scena post-punk in terra d’Albione stia vivendo un momento di particolare e fiorente fermento è sotto gli occhi di tutti: IDLES, Fontaines D.C., Shame, Murder Capital, se non coetanei sono comunque coevi, e le singole proposte – accumunate dalla forma, più peculiari nella sostanza – riscuotono crescenti consensi e proseliti. Con la flotta che si fa giocoforza sempre più numerosa.

Prendiamo i TV Priest capitanati da Charlie Drinkwater: un solo (!) concerto all’attivo, e già la Sub Pop – di certo non l’ultima arrivata – è pronta a prenderli sotto la propria ala protettrice; grado di originalità rispetto ai sodali del settore, al minimo: la potenza di fuoco è minore di Talbot & co., ma i denti sono altrettanto digrignati, la scrittura è curata (e, se serve, left oriented), il ricettario sonoro paga l’immancabile tributo a decenni di post-punk andati, tra Fall e Wire del caso, ma sbircia anche oltreoceano dove gente come i Protomartyr è ormai benchmark per ogni nuova leva.

Dall’iniziale The Big Curve in avanti, il canovaccio mette in mostra chitarre muscolari, nervose e sferraglianti e una sezione ritmica altrettanto decisa e arcigna, che spingono o deragliano dissonanti all’occorrenza, pronte ad apparecchiare per il cantato di Drinkwater, profondo quando non trainato dalla rabbia, che non lesina su declinazioni nello sprechgesang.

Tra i vari passaggi del lotto, menzione particolare per i momenti che evadono dallo schema consolidato: la nebulosa strumentale di History Week, il passo sornione e soffocante di Powers of Ten, la chiusura demandata alla lunga e deflagrante Saintless – ai punti, l’episodio probabilmente più interessante.

Cosa manca ai ragazzi? Per il momento, sicuramente un palco. Dopo aver portato i pezzi di “Uppers” dal vivo, il giudizio sarà certamente più circostanziato: i segnali, del resto, sono comunque incoraggianti.

Anban