Nel 1977 i Wire pubblicano il capolavoro punk “Pink Flag”, ma la band londinese è talmente punk da far dire al leader Colin Newman: «Non eravamo amici dei Sex Pistols. Comunque di gruppi come loro ce n’erano fin troppi e molti facevano schifo». Bastano quindi solo due album, “Chairs Missing” del 1978 e “154” dell’anno successivo, per distaccarsi completamente dal genere fondandone praticamente uno nuovo, il post punk per l’appunto.

Una band di questo tipo può permettersi quindi di risultare, rigorosamente a proprio modo, rivoluzionaria anche quattro decenni dopo. “Mind Hive” è spiazzante, quasi pop rispetto al sound al quale il quartetto ci aveva ormai abituato. Non lasciatevi persuadere dall’iniziale Be Like Them, perfetta sintesi di un matrimonio allucinato fra industrial di scuola Ramnstein e suoni medioevali, perché la vera anima dell’album si ritrova a partire dalla successiva Cactused, da Off the Beach e dal loro alternative rock debitore di band quali Pixies e Pavement.

Ancora più stupefacenti sono Unrepentant, Shadows e la conclusiva Humming, fra ambient, drone music e dream pop. Non manca comunque la bordata ottantiana di Primed and Ready, né la schizofrenia maniacale di Oklahoma. Lasciamo per ultima la suite apocalittica di quasi otto minuti Hung, perché no, non solo i Nine Inch Nails sono in grado di creare bellezza dal terrore. Diciassettesima lezione di stile da una delle band più originali della storia del rock.

Andrea Manenti