L’ho scritto decine di volte, l’ho ripetuto e lo vorrei gridare, in modo che, come dice Diane in Mommy,anche “ gli scettici dovranno ricredersi”, che Xavier Dolan è uno dei più grandi talenti degli ultimi anni e forse, se non si rovinerà, di sempre. Anni fa erano di moda alcune monografie su grandi registi dai titoli simili “Kieslowski secondo Kieslowski”, “Lynch secondo Lynch”e così via. Leggevo con una curiosità vicina all’innamoramento, esplorando il mondo di coloro che avevano creato una produzione così peculiare da creare una propria poetica stilistica. Pensavo che la mano di un autore è diversa da quella di un semplice regista e questo è quello che mi ha fatto innamorare di un ragazzino del Québec, quando ormai stava per diventare un uomo. Adesso, dopo sei film e qualche video, si potrebbe già parlare di “Dolan secondo Dolan”.
Meravigliosamente attratto da tutto il cinema, Xavier ama pellicole anche più commerciali, quelle che altri registi spocchiosi e meno abili potrebbero schifare. Lui adora “Titanic” e “Pierrot le fou”, “Harry Potter” e “La mala Noche” di Gus Vant Sant, continuando per contrasti, creando una propria visione del cinema complessa e personalissima. I riferimenti a Wong Kar Wai sono talmente evidenti nei suoi primi lavori, da essere anche più che citazioni, ma sempre legate alla storia, mai vuote, rivisitate e rivissute, rendendole nuove. “J’ai tué ma mere”, girato a soli 19 anni (!), acerba (ma nemmeno troppo) opera prima, scritto a sedici anni, autobiografia romanzata e disperata. Magnifico esordio poco diffuso e premiato a Cannes, nella Quinzaine des realizateurs. Sono poi seguiti praticamente un film all’anno, con una famiglia di attori (tutti bravissimi), mantenuta fino a “Mommy”, il film della celebrità. Tuttavia l’opera di una raggiunta maturità, dove Dolan ha mostrato quello che sapeva fare (come dice la mia compagna Jessica Flacida, aiutato da una diversa ricchezza di mezzi, anche economici) è stato “Laurence Anyways”. Conosciuto poco in Italia (lo scorso giugno si vociferava di un’uscita italiana grazie a Movie inspired), è un film dotato di una perfezione e di una complessità che mi ha lasciato senza fiato. La storia è quella di Laurence Alia, fino ai trentacinque anni imprigionato in un corpo che non gli apparteneva, una donna in un corpo d’uomo. Simile per intenti al bruttissimo e posteriore “The Danish Girl” (indegnamente candidatissimo e distribuitissimo) e bello fino alla follia.
Dolan ha scritto la sceneggiatura, lo ha girato e per la prima volta affidato il ruolo di protagonista ad un altro attore, abbandonando quell’”esibizionismo” che molti hanno criticato e dando il meglio di sé. Come egli stesso ha dichiarato “Laurence Anyways” è innanzitutto una storia d’amore, che resta coerente con la poetica di Dolan, dove il melodramma è il contenitore di altre tematiche, in questo caso il cambio di genere, affrontato con delicatezza e la serietà di un’ indagine psicologica che su questo argomento non si era mai vista.
Il ventitreenne Dolan ha girato un romanzo in capitoli, iniziandoci alle sue atmosfere pop, facendo della musica la terza protagonista. Appartengono al melò i primi piani, gli sguardi, le lacrime e le grida, mentre i colori saturi e la storia si nutrono di una prospettiva debitrice degli anni ’90 (dovuta anche alla collocazione temporale, dal 1989 al 1999) e a volte di citazioni barocche, quasi riferimenti a LaChapelle ( la scena in cui conosce Mamy Rose) e qualche scena almodovariana. Tutto ripreso da una padronanza dei mezzi espressivi e della macchina da presa di un grande e visionario professionista.
Sorprende la sceneggiatura spezzata ma fluida, uniforme, intensa, che respira di una maturità esistenziale che davvero sorprende in una così giovane età. In due ore e quaranta di un amore che non può realizzarsi, che si insegue in errori, per due anime che si appartengono e due corpi che non possono appartenersi. Si incontreranno, si avranno transitoriamente, in una precarietà che li inseguirà per sempre La sessualità e le difficoltà nel viverla liberamente, per se stessi e per chi ci sta intorno sono alcune delle tematiche principali di Dolan, come i sentimenti e i personaggi femminili mozzafiato, donne angelo piene di difetti. Laurence, col volto di un pazzesco Melvil Poupaud, che cambia nello sguardo e nel corpo, in una narrazione perfetta. Laurence e Fred vivranno nell’inevitabilità dell’impossibile, lei scriverà sulla pelle di lui : “Sur la santé revenue, Sur le risque disparu, Sur l’espoir sans souvenir, J’écris ton nom » anticipando dolorosamente quello che accadrà. Un dolore spiazzante che si vivifica con l’esplosiva potenza espressiva di alcune scene, due su tutte: una cascata di pioggia in un salotto e un cielo saturo d’inverno da cui cadono abiti infuocati da ogni colore, su due corpi simili, per una volta ancora, per un malinconico nuovo errore (il titolo delle note elettroniche dei Moderat), forse l’ultimo.
Tra queste immagini che restano accese negli occhi, che tolgono il respiro, tra la voglia che “Laurence Anyways” venga riportato al cinema, penso a quanto il cinema avesse terribilmente bisogno del linguaggio nuovo, esplosivo e personalissimo di un giovane nuovo autore pettinato alla James Dean.
Il Demente Colombo
Nome e Cognome: Demente Colombo
Mi racconto in una frase: strizzacervelli con un cuore di cinema
I miei 3 locali cinema preferiti: Anteo, Apollo, Silvio Pellico di Saronno.
Il primo disco che ho comprato: Cross Road (Bon Jovi)
Il primo disco che avrei voluto comprare: Tapestry (Carole King)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Quando sono triste guardo Zoolander e il mondo mi sorride.