Dopo il flop degli ultimi film dalla produzione stellare, il giovane prodigio canadese torna a casa, e ritrova se stesso.
Dolan ha dato prova di sé e della propria autorialità, tornando alle proprie radici, che affondano nel materiale umano e sentimentale su ci ha costruito un’intensa poetica autoriale ed esistenziale.

“Matthias et Maxime” è un film sul linguaggio dell’anima e dei sentimenti, raccontato nella maniera più intima possibile. Dopo un film in lingua inglese, con Hollywood ai propri piedi, Dolan gira nella propria lingua madre, il quebecois (da vedere assolutamente in lingua originale con sottotitoli), quella con cui si parla, appunto, al proprio animo ed ai propri sentimenti.

Anche qui abbiamo una madre e una relazione sentimentale. Che sia omosessuale poco importa, come racconta la giovane regista del cortometraggio, che mette in discussione le vite dei protagonisti, l’amore riguarda le persone, senza una necessaria classificazione di genere. Il regista già aveva trattato l’argomento nel capolavoro “Laurence Anyways”, ed ha scelto per il suo ultimo film, in antitesi con gli ultimi due, un cast di attori sconosciuti (ha dichiarato di aver colto l’occasione per girare un film con i propri migliori amici, e di non poter lasciarsi perdere un’occasione simile).

Con stile incalzante, tra camera a mano ed altre scelte più tradizionali, primissimi piani e riprese dall’alto, di strade e percorsi verso nuove direzioni della vita, Dolan gira un film di passaggio, sui suoi trent’anni e sulla possibilità di orientarsi verso nuovi orizzonti, accorgendosi di averne ancora il tempo. Non trascurabile il richiamo a “Chiamami col tuo nome”, ma la citazione resta sullo sfondo, sia per l’ambientazione (il regista dice che l’origine del film nasce da un’idea avuta con i propri amici due anni fa, in Quebec, in una casa molto simile a quelle che si vedono nel film), sia per la narrazione. Una narrativa di silenzi e di desiderio, che si svincola in una lettura sulle differenze sociali e sulla difficoltà di spezzare le convenzioni.

L’universo della sua filmografia è ancora una volta ancorato alle madri, estroverse, interrotte, adottive e non sufficientemente buone, in un femminile primigenio, origine di scelte e scissioni, nel bene e nel male. L’aspetto nuovo è l’amicizia, in una lettura affettuosa e corale, che si inserisce nella poetica autoriale di Dolan, come lettore di una dimensione profondamente rivolta all’umano e alla relazione, in cui nulla siamo senza l’altro, in cui noi siamo un dialogo.

Romantico, sospeso ed elegante, “Matthias et Maxime” non è un capolavoro, ma un bellissimo film, che cambia rotta, che apre la mente e il cuore, con la libertà di chi vuole raccontare le proprie storie senza compromessi e con una padronanza del proprio mestiere che nessun altro giovane regista ha dimostrato negli ultimi anni, ma forse nemmeno molti vecchi mostri sacri (Dolan, peraltro, è attore, sceneggiatore, regista, produttore, montatore dei propri film).

Ormai una firma la citazione di “Titanic”, in una delle scene più belle del film (contornata dal “Song for Zula” di Phosphorescent, per aumentare le palpitazioni). Da non perdere (meglio al cinema, ma anche da acquistare online, su miocinema). Strepitosa colonna sonora e bella la fotografia dell’ormai inseparabile André Turpin.

Il Demente Colombo