Scrivo d’impulso, dopo una solitaria visione pomeridiana in un cinema malmesso. Dolan, autore delle emozioni, merita una scrittura più di pancia che di anima.

E così, dopo un anno e passa d’attesa l’ho visto, il lavoro maledetto, il primo atteso fallimento del giovane talento. Si è osannato alla caduta del cigno, per la sua prima opera ambiziosa, per criticare un lavoro ambizioso, per devastarne l’ascesa. Mi aspettavo un vero disastro, invece ho incontrato un dei film migliori di Dolan, cupo, coeso e maturo.
La vita di J.Donovan merita di essere visto, non raccontato. La storia è nota; un attore bambino dalla difficile biografia familiare scrive una lettera ad una celerità. A differenza di quello che nella realtà Di Caprio fece col piccolo Xavier, nella fiction Donovan risponde e nasce una corrispondenza tra il divo e l’undicenne.

Questo è lo sfondo di una storia su ascesa e declino di una stella, di un ragazzo e artista, angelo posseduto da rabbia e fantasmi, nonché il pretesto per narrare le difficoltà di mantenersi persona e non personaggio nel mondo dello spettacolo.

Il regista sceglie la struttura di Laurence Anyways (sarà casuale il cameo di Susan Almgren, la giornalista che intervistava Laurence?), in una narrazione che spazia il tempo di un’intervista. Come sempre Dolan scrive, gira, monta in un cinema di totale autorialità. Tanto si è parlato di un montaggio imperfetto, di confusione narrativa, ma il regista riesce a mantenere coesa una struttura che in altre mani avrebbe rischiato di apparire ridicola e sfilacciata.

Poco importa della corrispondenza, il centro è la parabola esistenziale di Donovan, ennesima anima fragile del cinema del talento canadese, che eviscera, trasforma ed illumina le sue madri imperfette e le solitudini rumorose dei protagonisti. Cast stellare, ma non per la prima volta, perché il vero film da divo del giovane canadese è stato il quasi disastroso e  “è solo la fine del mondo” e stavolta gli attori sono contenuti (nel film precedente sembravano diretti da Muccino), Susan Sarandon e il piccolo Jacob Tremblay bravissimi. Kit Harington se la cava e molto lo aiuta il bel volto malinconico. Dolan ama i suoi attori e questa è uno dei punti di forza del film, si affida a loro,  agli sguardi che raccontano ed osservano, anche gli ultimi istanti, in istantanee strazianti. Tutto permeato da una musica pop che aumenta i battiti del cuore.
Non capisco chi ha parlato di disastro, nel primo film americano del ragazzo prodigio, quando, con un budget stellare la strada è quella ancora una volta dell’autobiografia e dell’autorialità, senza spettacolarismi. Già leggenda il taglio della parte di Jessica Chastain, che aggiunge mistero e attesa sul nuovo capolavoro dell’unico  grande nuovo autore degli ultimi decenni.

Il Demente Colombo