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“Passeggeri della notte”, di Mikhael Hers: recensione senza spoiler

Presentato al Festival di Berlino e a Torino, il nuovo film di Mikhaël Hers è al cinema dal 13 di aprile. Il regista del bellissimo “Quel giorno d’Estate” ci travolge ancora una volta in una dimensione di delicatezza e di malinconia, raccontandoci le diverse stagioni della vita, delle separazioni e delle rinascite inattese.

Come nell’altro stupendo film francese del 2022, “Les Amandiers (Forever Young)” di Valeria Bruni Tedeschi, Hers sceglie di ambientare il suo film in un periodo storico in cui l’amore si è legato all’universo della morte. La storia inizia in nostalgie sussurrate, avvolte dalla penombra dei palazzi del quartiere Beaugrenell, iconico negli anni ’80 e tornato ai nostri occhi nelle peregrinazioni dei protagonisti di “Les Olympiades” di Audiard. Incede poi in una storia di crescita familiare, di cura di una donna ferita (nell’anima e nel corpo) e di formazione sentimentale.

Con un avvio drammatico e sentimentale, la storia diventa rapidamente un percorso di crescita personale di Elisabeth e dei suoi figli, con l’imprevisto arrivo di Talulah, ragazza giovanissima dall’identità oscura. L’inaspettato e il coraggio di agire porterà la famiglia a una rinascita, in una metamorfosi dove la solidarietà e la gentilezza sradicheranno il danno e il dolore.

“I Passeggeri della notte” si muove su un binario di luci ed ombre, nel giorno che racchiude la forma e nella notte in cui fluisce la vita, oniricamente ricca di fallimenti, svelamenti e di vicinanze inattese; un notturno che si crea anche nella sala di un cinema, dove troverà rifugio Talulah, creatura che appare e scompare nell’oscurità.

Non è casuale la citazione di Rohmer con “Le notti della luna piena” (anche la pettinatura di Noée Abita), con l’omaggio a Pascale Ogier, ma anche a “Le Pont du Nord” di Rivette, con la stessa attrice dal destino tragico. In entrambi i film la protagonista vagava per Parigi, per cercare divertimento o per claustrofobia, ma sempre destinata a rimanere sola.

Bella fotografia, con filmati in 8mm d’epoca, musica con momenti pop ed emotivi sempre anni ’80. Charlotte Gainsbourg in stato di grazia, nel vero senso del termine. È l’anima del film, della famiglia di cui ci parla e con un filo di voce ci racconta mille donne in una. Spalla perfetta di Emmanuelle Beart, qui un po’ in sordina ma sempre iconica. Distribuito da Wanted Cinema, casa indipendente dalle scelte sempre affascinanti. Da non perdere.

Il Demente Colombo