Sofia Coppola ritorna alle origini, con un’opera classica per ispirazione ed atmosfere.

Remake dell’omonimo film del 1971, con un bonissimo Clint Eastwood, “L’inganno” è un film in costume dalle atmosfere di un thriller; ambientato durante la guerra di indipendenza americana, un gruppo di donne angeliche soccorrono un soldato ferito trovato in un bosco e la loro vita cambierà.
L’ambientazione sudista rimanda alle atmosfere opprimenti de “Il giardino delle vergini suicide”, dove fronde di alberi e liane richiamano gli abiti e le chiome indomabili delle protagoniste. I cromatismi dalle tinte acide sono quelli tra cui Lux e le sue sorelle si perdevano e scomparivano. Le notti sono le stesse, dove il peccato è nascosto dalle ombre e le giornate vivono l’assenza del mondo (la città è un miraggio ed una possibile salvezza nei discorsi delle ragazze, ma anche fonte di scarso ed invitante rigore morale) , in una realtà fasulla e coercitiva.
Sofia Coppola, dopo aver sperimentato molti generi, con esiti incerti, torna a narrare l’animo femminile, sottolineandone forza, perversioni, sconfitte e silenziose vittorie. “L’inganno” è strutturato su un linguaggio di sottotesti, dove quello che si vede non è mai la verità. Come nel suo primo capolavoro, di un gruppo di fanciulle vengono sottolineate le virtù e le pulsioni; in ogni scena scorre il desiderio coperto dalle convenzioni, la ricerca del mondo nella condizione limite, dove vige una specie di privazione sensoriale; le vergini suicide erano segregate dai genitori, le studentesse e le insegnanti dalla guerra. L’inganno è ovunque, nello stile di vita di studentesse ed istitutrici (obbligate a vivere in una prigione in stile neoclassico, abbandonate dalle proprie famiglie), nelle intenzioni di John McBurney, di cui lo sguardo femminile della Coppola, sottolinea la sensualità e nei desideri che egli scatena nelle donne che lo hanno accolto.
“L’Inganno” è un film girato con grande classe ed esperienza, non è il lavoro migliore della regista, ma è il suo miglior film dai tempi di “Lost in Translation”. Ispirato all’originale, con aperti richiami a “Ritratto di Signora”, a “Picnic ad Hanging Rock”, ad Hitchcock (“Il sospetto”, “Rebecca la prima moglie”) e con la forza delle sorelle Brontë, è un film da vedere; forse lo amerà di più un pubblico femminile, ma è dedicato a uomini che amano e, soprattutto, che odiano le donne.

Il Demente Colombo