New York interno giorno. Un uomo anziano piacente ma dall’aspetto qualunque organizza la trama di un progetto vincente in un tiepido inverno. Lui è Norman Oppenheimer, un Richard Gere perplesso, con basco e cappottone; uomo d’affari che agisce nell’ombra, tra le strade della Grande Mela e le oscurità della sinagoga.

Non si capisce bene che lavoro egli faccia, se non soddisfare le necessità degli altri e quando qualcuno si informa sulla sua professione, lui risponde: “se le serve qualcosa io gliela trovo”. Finché, galeotto un paio di scarpe, acquista la fiducia di un giovane politico israeliano in ascesa, aiutandolo in un momento di sconforto. Nascerà un’amicizia che durerà negli anni, Norman sempre nell’ombra, in attesa che il politico diventi qualcuno, in questo caso (lo diventerà davvero) primo ministro.

Un film che tra pretese d’ironia, disegna l’esistenza di un protagonista sgradevole, con ombre da arrampicatore sociale, il cui stile di vita si basa su molte menzogne e sull’ambizione di (per dirla alla Bugo) entrare nel giro giusto. Puntando sul cavallo vincente, a Norman si apre una serie di opportunità e di favori a catena che lo illuderanno di essere importante. Gere cerca di rendere accattivante il ruolo di parassita sociale, del quale viviamo le ansie, le figuracce e l’inopportunità, mostrandoci come Norman affronterà il tanto agognato successo una volta (inaspettatamente) raggiunto. Una parabola inattesa, costruita come un giallo senza colpo di scena, dove l’assassino è la vacuità delle relazioni sociali basate sull’interesse, in un mondo di ambizioni e di solitudine.

Una regia (del non brillante Joseph Cedar) non è all’altezza dell’ottimo cast, con Gere che abbandona ogni glamour, cambia sguardo ed affascina infastidendo e del sempre bravo Steve Buscemi. Una scelta originale, il vezzo di un divo, ma il film non convince, intrattenendo con qualche sbadiglio.

Il Demente Colombo