Sembra che gli Stati Uniti, declinati nella dimensione aperta degli spazi suburbani, siano tornati a raccontarci il presente come nessun’altra provincia sparsa per il globo. È nelle crepe dei rapporti disumani, spezzati da infinite violenze psicologiche che fuoriesce un tipo umano in grado di dirci la sofferenza e, si perdoni il gioco di parole, l’indicibile. Quando siamo usciti dalla sala che proiettava Tre manifesti a Ebbing Missouri è a Brecht che è andato il pensiero e alle sue parole tremende, affilate: “Oh, noi che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, noi non abbiamo potuto essere gentili”. E tuttavia, sotto la scorza feroce di una cittadina che ha deciso, nel personaggio di Mildred (Frances McDormand), di onorare e sacrificare la propria esistenza al culto della memoria, o meglio al rancore della memoria, permane un’umanità residuale dalla quale, senza svelare nulla a tradimento, sembra poter rinascere qualcosa, intravedersi un nuovo inizio. È lei la protagonista, una donna che affigge tre cartelloni pubblicitari per richiamare l’autorità locale alle sue responsabilità: per la figlia “raped while dying” si esige un colpevole.

Lo sceriffo (Woody Harrelson) e il suo vice, un gigante Sam Rockwell, sembrano troppo occupati a dare la caccia alla micro criminalità di origine afroamericana al solo scopo di tutelare l’orgoglio WASP. Ma non inganni questo schema: di fronte a un caso classico di ingiustizia, capace unicamente di aizzare la rabbia e minare alla radice il tessuto connettivo di una comunità, da una parte e dall’altra, lungo il film, il bianco e nero dei ruoli in parte è insufficiente a comprendere la voragine profonda nella quale riposano e bruciano i tentativi complessi di riscatto, i comportamenti sempre più ingiustificati dei cittadini di Ebbing. La tinta più esatta è semmai quella del grigio, fitto e impenetrabile, tale da suscitare una forte empatia nello spettatore anche con il già citato Rockwell: il prototipo di poliziotto, bianco, stupido e alcolizzato.

La sottigliezza di un personaggio è la qualità del cinema concessa alla vita; la stessa McDormand ci dice che “Mildred è una Marge(l’indimenticata protagonista di Fargo) cresciuta”, a significare un posizionamento più problematico nel ventaglio multiforme dell’attrice. Può bastare per l’Oscar.

Nella storia che si dispiega, da un caso privato di cronaca, ci apriamo al riso, a quanto comiche sono le vicende umane; e al dramma, perché solo chi non conosce il mondo dimentica quanta sofferenza serpeggia tra le persone “normali”, uomini e donne comuni che quando giocano a biliardo cercano di mandare in buca innanzitutto la loro voglia di farla finita.
Alberto Scuderi