“È facile trovarmi”. Questo recita il titolo del nuovo e ottavo disco dei The National. La band di Cincinnati è finalmente tornata, dopo due lunghi anni, e noi non vedevamo l’ora. Ed è riuscita ancora una volta sorprenderci.
“I Am Easy To Find” è un disco ambizioso e intenso. Un disco in cui è necessario, indispensabile, non fermarsi al primo ascolto. Un disco complesso, avvolto da un’aura quasi sacrale.
È un disco di prime volte, e dopo vent’anni di carriera, trovatemi di chi altro si possa dire lo stesso.
È anche il loro disco più lungo: 16 tracce per un’ora e qualche minuto in più di musica.
È un disco dove non c’è più un protagonista: per la prima volta nella storia della band, è un lavoro corale, collettivo. Ciò non significa che l’ego di Matt Berninger si sia quietato o abbia perso il suo travolgente e affascinante carisma (basta seguirlo su Instagram per accorgersi che non è assolutamente così), ma ha invitato sul suo palcoscenico creativo una serie di nuovi componenti, che hanno intrecciato con lui le trame del discorso – musicale, interpretativo e testuale.
È infatti un disco pieno di voci “altre” rispetto alla caratteristica baritonale di Berninger. Sono tutte donne: dalla storica corista e bassista di David Bowie, Gail Ann Dorsey, a Lisa Hannigan, dall’intoccabile Sharon Van Etten alla moglie di Bryce Dessner Mina Tindle, da Kate Stable ed Eve Owen. E poi il coinvolgimento del Brooklyn Youth Chorus, che ha realizzato tutti gli intermezzi tra una canzone e l’altra (Her Father In The pool e Underwater).
Un disco che è legato imprescindibilmente all’omonimo cortometraggio di Mike Mills, che lo ha di poco anticipato nell’uscita. Un piccolo capolavoro che vede protagonista una bravissima Alicia Vikander (attrice e produttrice svedese vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista in “The Danish Girl”) e racconta La Vita.
Un nuovo modo di registrare, che coinvolge in toto anche il regista del corto.
Insomma, la dimostrazione di un’eterna volontà di continuare a sperimentare, a cercare nuove forme, nuovi legami artistici. Questo sono i The National, e per questo li amiamo.
Un tappeto sonoro raffinato, uniforme e orchestrale, ricco di archi e cori, accompagna questo grande “racconto dei racconti”, per dirla in garroniana maniera. Melodie che rispecchiano e trovano la loro potenza nei testi (tanti scritti anche dalla moglie di Berninger), nell’universalità delle storie quotidiane e di formazione che ci sono all’interno. Dall’opening track e primo singolo estratto, You had your soul with you, alla toccante Oblivions, dalle toccanti riflessioni di Rylan (Everybody got nowhere to go/ Everybody wants to be amazing oppure Eat your pearls on Sunday morning/ Keep your conversations boring/ Stay with me among the strangers/ Change your mind and nothing changes) al soffiato duetto della title track, dalla sospirata Where Is Her Head alla splendente e poetica Not in Kansas, fino ad arrivare alla delicata Light Years in chiusura, con pianoforte e archi a venarla di “nationalissima” malinconia.
“I Am Easy To Find” è un album di fotografie in bianco e nero. Sembrano scatti semplici, ma nascondono un lavoro di fino, una precisione compositiva. È un susseguirsi di ballad mature, percepite come essenziali ma al tempo stesso incredibilmente lavorate, sia a livello strumentale che testuale.
Certo, non tutti i brani sono veri e propri capolavori: se ne potevano togliere due o tre senza problemi. Certo, può suonare molto, troppo “piatto” a livello sonoro. È un disco stanziale, non ha picchi di energia, canzoni particolarmente ritmate o cariche. Ma è questo quello che cerca, anche se forse noi avremmo bisogno, a volte, di alleggerirci.
Insomma, nonostante le critiche e le perplessità che si possono – e devono – muovere, “I Am Easy To Find” resta una potente operazione artistica a 360 gradi. The National (ancora una volta) ci danno una grande lezione di musica, di stile e soprattutto di vita. Una lezione di vita, che come tutte le grandi lezioni può a volte sfuggire, a volte annoiare, a volte confondere, ma alla fine finisce sempre per fare riflettere.
Crediamo tutti di essere anime complesse e uniche, ma in fondo siamo tutti vicini e simili: tutti possiamo rispecchiarci in questi testi, in questi sentimenti, nella poesia delle immagini del cortometraggio. Le paure (de)i sentimenti, l’incapacità di perdonarsi, la sensazione di essere incompresi: tutti crediamo di combattere personalissime guerre solitarie. Ma non è così: siamo tutti facili da trovare, basta cercarlo e volerlo.
Ci specchiamo tutti, dentro questo album. E questo è il più grande successo che un gruppo, un musicista, un artista, possa mai ottenere. Ecco perché, se ci fosse una lista delle persone pronte a donare il proprio fegato a Matt Berninger per vederlo continuare a cantare e scrivere, io continuerei a essere la prima pronta a sacrificarmi.
Giulia Zanichelli
Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.