“The Less I Know the Better” è l’album d’esordio del gruppo lombardo The Ghibertins, ossia Alessio Hofmann, Alessandro Fogazzi e Lorenzo Rivabella. Dopo l’EP del 2015 “Square the Circle”, i ragazzi si fanno conoscere meglio con questi 11 brani in pieno stile rock-folk all’americana. Le ispirazioni e le influenze musicali sono di vario genere, come scrivono loro stessi sul loro sito defininendosi: «A Milan based Folk/Rock band that contains all the members contradictions of completely different musical backgrounds such as: John Mayer, Mumford & Sons, Ben Harper, Amos Lee, Father John Misty, Pearl Jam, Ryan Adams, Paul Simon e 2Pac».

In effetti è così: il disco suona sostanzialmente e puramente rock, ricordando molto spesso i Foo Fighters, i Counting Crows, ma anche gruppi di nascita più recente come i Kings of Leon. Però è possibile ritrovarvi anche sonorità jazz e blues con la chitarra, il basso e la batteria che si rincorrono e a volte si alternano ad assoli di tromba (Where Are We Now?).

“Meno so e meglio sto”, questa è la traduzione letterale del titolo dell’album e, come spiegano i componenti della band, sta a significare la tendenza odierna a far finta di non vedere e sentire determinate cose, a chiudere gli occhi, e la bocca, davanti alle ingiustizie, alla violenza e alle guerre, e cela l’intenzione di svegliare dal torpore tutte quelle persone che assumono questo tipo di atteggiamento. L’immagine sulla copertina del disco parla chiaro e anche la title-track che irrompe a metà disco con tutta la sua potenza rock tesa a sottolineare la crisi che contraddistingue la società in cui viviamo.

I testi, tutti rigorosamente in inglese, affrontano anche altre tematiche. Dalla pazzia che può scaturire solo da una delusione d’amore (il disco inizia con un pezzo intitolato Madness), all’incapacità e difficoltà di riconoscere la verità in una quotidianità in cui tutti indossano una maschera nella grande e variegata “sfilata di Carnevale” che è la vita (Carnival).

Come in tutti gli album rock che si rispettino non può mancare la ballata triste e “strappalacrime” Let ‘em Dance, che si avvicina al termine con un assolo di chitarra apprezzabile. Interessanti anche altri pezzi come No Way, che ricorda una sorta di marcia, e Facing a Loaded Gun.

Mariangela Santella