Per un pomeriggio festivo proprio niente male. Non ci si riferisce al dolce preparato dal parentado e prontamente rifilato ai nipoti in ansia di mangiarne a vagonate. Piuttosto seduti in soggiorno comodi abbiamo trangugiato l’ultimo dei Pond, “Tasmania”. Per motivi che ci sfuggono, sembra agli astanti la cosa più utile al momento da fare. Il disco aggancia da subito.

La cura impeccabile del suono la riconosciamo perché Kevin Parker (Tame Impala) ci ha abituati alla sua regia sofisticata con cui dirige i suoni che andrà plasmando. Psichedelia, funk ed elettronica più pop dialogano a tal punto da definire quel che sentiamo qualcosa di eccedente le categorie del mainstream contemporaneo. Il filosofo Hegel diceva di aver visto lo spirito del tempo andare a cavallo: era Napoleone. Noi, con maggiore umiltà, diciamo che in questo disco c’è l’indie di oggi.

Tutte le sue declinazioni vi sono rappresentate con dosaggi certosini. A ciascuno il suo: chi non troverà qualcosa da portarsi a casa è perché molto probabilmente ascolta jazz brasiliano. Le luci in technicolor di Sixteen days, il calore elettronico di Shame, le reminiscenze à la American Dream degli LCD Soundsystem di Hand Mouth Dancer e chi ne ha più ne metta, rappresentano gli ingredienti di una ricchezza sfacciata e travolgente. L’atmosfera, ormai caldissima, riempie di gioia coloro che pensavano di aver gettato il pomeriggio nella pattumiera dell’insignificanza.

Possiamo dirci conquistati; sarà necessario il secondo, il terzo e il quarto ascolto, ma non c’è dubbio che in concerto vorremmo andare a vederli, come abbiamo fatto qui,  tanto nei festival sono sicuramente in cartellone. Controlliamo… e sì, è proprio così. Certo che Hegel con quella storia dello spirito del tempo ci aveva proprio preso, continuiamo a ripeterci mentre scartiamo la stagnola della torta della zia. Sì, all’inizio abbiamo mentito.

Alberto Scuderi

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