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Parquet Courts – Sympathy for Life: Recensione

 

Dopo poco meno di un decennio, fra gavetta, provocazioni (il noise estremo di “Monastic Living” del 2015) e inaspettate collaborazioni (quella con l’italiano Daniele Luppi in “Milano” del 2017), con il precedente “Wide Awake!”, tre anni fa, i newyorkesi Parquet Courts rivelavano al mondo tutta la propria grandezza grazie a un’eccentricità unica e spavalda.

Prendendo a paragone i concittadini Strokes, questo “Sympathy for Life” è rispetto a “Wide Awake!” ciò che per Julian Casablancas & Co. era stato “Room On Fire” rispetto all’esordio: un ottimo album, ma che per forza di cose sente il peso dell’illustre predecessore.

Ancora una volta, i Parquet Courts poggiano la scrittura dei brani su una sessione ritmica da pelle d’oca (siano santificati il basso e la batteria di Sean Yeaton e Max Savage) sulla quale le melodie di Andrew Savage ed Austin Brown, manco a dirlo, si esaltano.

Il disco è equamente diviso tra sferzate punk seventies (come l’introduttiva Walking at a Downtown Pace, Black Widow Spider e il singolo bomba Homo Sapien), l’ormai abituale tributo al genio dei Talking Heads unito alla world music (la title track, Zoom Out e Trullo), il raga psichedelico che strizza l’occhio ai meno conosciuti Fucked Up! di Plant Life e Application / Apparatus, il dub clashiano di Marathon of Anger e i sixties oscuri e meno noti di Just Shadows. Piacevolissima sorpresa, la ballad finale Pulcinella.

Una band già ottima, ma da vedere dal vivo: noi, Parquet Courts, vi si aspetta a braccia aperte!

Andrea Manenti