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“Welcome to Bobby’s Motel” è il biglietto da visita dei Pottery. A onor del vero, la giovane band canadese aveva già all’attivo un EP di sette brani pubblicato lo scorso anno, ma è con questo nuovo disco che si presenta davvero per quello che è: un caleidoscopio energico, impazzito e multicolore. L’album ci mostra un gruppo dedito all’art-rock, dal sound ritmico e vorticoso, ballabile e diretto. Figli del post-punk e del funky, della new wave e della dance, gli undici brani in scaletta sono il riflesso di una band sì alle prime armi, ma ben conscia delle capacità tecniche di cui dispone.

Dalla title track, un’introduzione molto seventies e psichedelica al mondo sonoro dei Pottery, si passa alla ritmica marziale di Hot Heater, influenzata dai primi Talking Heads, mentre Under the Wires gode di soluzioni più recenti facendo venire in mente i purtroppo sottovalutati Art Brut. Bobby’s Forecast è dance sensuale debitrice di Sly & The Family Stone, Down in the Dumps, invece, ricorda i Red Hot Chili Peppers e gli eighties. Reflection smorza i toni con un mood quasi new romantic, ma vive anche di un intermezzo decisamente hard rock.

Texas Drums, Pt. I & II è il vero gioiello dell’album, una traccia filologica che riprende la musica danzante dagli anni Settanta all’elettronica contemporanea. NY Inn è il compianto Ennio Morricone in salsa punk, What’s in Fashion? tributa i Rolling Stones di Satisfaction (o forse i Devo?), Take Your Time chiude la tripletta debitrice del periodo più fantasioso dei seventies. Hot Like Jungle è una ballad che conduce dolcemente al finale.

Un buon album, molto coraggioso, forse con troppe idee e troppa poca coerenza melodica, ma sicuramente un’ottima base sulla quale lavorare.

Andrea Manenti