Personalmente trovo sia un vero miracolo che gli Strokes, nel 2020, impieghino il loro tempo pubblicando dischi insieme, al posto che fare ciò che ci si aspetterebbe da cinque ultramilionari newyorkesi con alle spalle una storia di alti e bassi come la loro: azzuffarsi l’un l’altro in inutili battaglie legali o in tweet maliziosi, misurandosi vicendevolmente il pisello.
E invece quando gli Strokes, una volta ogni x anni, decidono di mettere da parte ogni forma di individualismo, ci dimostrano di essere ancora “5 guys” uniti da un legame che risale ai tempi della scuola (dubito, in effetti, che sopravviverebbero a un cambio di formazione), e che, a quarant’anni, possono pubblicare il loro disco probabilmente più ispirato degli ultimi 10 o 15 anni.
Ma anche se “The New Abnormal” non lo fosse stato, così ispirato, poco sarebbe cambiato circa la bontà del risultato, perché di fatto, quella degli Strokes, è una “formula magica” che non ammette brutture: la scrittura di Casablancas vince e convince, nei secoli dei secoli, a prescindere se condita in salsa indie rock, new wave, dream pop, punk rock o vattelappésca.
Stessa cosa per gli arrangiamenti: tutto è servo di qualcosa di sovraordinato, più prezioso della semplice somma delle parti, vale a dire quell’imprinting che permette di riconoscere una canzone “by The Strokes” anche se viene agghindata, per l’occasione, con le sembianze di Billy Idol, dei Psychedelic Furs, o foss’anche di Babbo Natale.
E allora chissenefrega se Nick Valensi e Albert Hammond Jr suonano le chitarre, i synth o il grillo parlante Clementoni, o se la batteria di Moretti è reale o una semplice sequenza di trig montati a tavolino da Rick Rubin: dettagli, che poco cambiano l’esito dell’opera.
Un giorno un caro amico mi disse: “Gli Strokes vanno oltre il concetto di band. Sono come i Ramones, ma della mia generazione”. Mai parallelismo fu più azzeccato: entrambi gruppi capostipiti di un movimento definito, ed entrambi sopravvissuti indenni al suo decadimento, poiché più grandi del movimento stesso.
Allora la voce di Casablancas non è più semplice “voce”, ma un brand protetto da copyright, esattamente come lo era quella di Joey Ramone quando, negli anni ’80, scimmiottava la new wave, tagliando i ponti con la fanbase più nostalgica delle chitarre powerchord e delle batterie up-tempo rigorosamente in 4:4.
Ironia della sorte, “The New Abnormal” piacerà ancor meno dei dischi precedenti ai fan degli Strokes “2001-2005” poiché, in esso, la scrittura tocca il suo picco proprio nei pezzi dai suoni più attualizzati: Ode to the Mets e At the Door (su tutti), così come in Not the Same Anymore, The Adults are Talking e Selfless, che guarda caso sono anche
quelli dal ritmo più lento, trascinato e spezzato, lontani anni luce dalla “Modern Age” che oggi sembra davvero preistoria.
Matteo Griziotti