Albert Hammond Jr, trentasette anni suonati, figlio d’arte di quell’Albert Hammond, cantautore inglese dei 60′ e compagno di avventure di Julian Casablancas dai collegi svizzeri alle scuole di cinema newyorkesi per finire fianco a fianco negli Strokes.

Il suo esordio solista risale al 2006 e vanta la collaborazione di personaggi meravigliosi della grande mela da Sean Lennon a Ben Kweller.

La pietra miliare dei suoi Strokes “Is this it” ha compiuto da poco 17 anni fa e di pari passo agli impegni della band, Albert è giunto al quarto disco solista. Eccovi dunque questo Francis trouble, un concept album molto difficile da raccontare.

Il lavoro vuole omaggiare la memoria del fratello gemello mancato prima del parto. Il tema dunque ha un titolo assai pesante, un pugno allo stomaco. La stesura però è ben altra storia e già dal primo ascolto si capisce di aver a che fare con 35 minuti di motivetti rock’n’roll: melodici, apparentemente divertenti a tratti persino scanzonati nel senso più Beatlesiano del termine. Un gioco di contrasti che spiazza dalle prime battute di DvSL e Far Away Truths traccie d’apertura richiamano subito gli Strokes degli esordi. La seconda poi sembra strizzare l’occhio proprio al riff di quella Last Time che ha fatto canticchiare un’intera generazione.
Muted Beatings e Set To Attack sono brani trasognanti per crogiolarsi nel ricordo degli ascolti della domenica pomeriggio dei primi 2000. Stop & Go è un funkettino all’acqua di rose a tratti soporifero, sapientemente affiancato dalla scorcher garage-fuzz ScreMer che ti riporta ai fasti di Como Te Llama? quando il nostro era in fissa per le distorsioni di ogni sorta. Se ti concentri bene riesci a sentire le pulsazioni punk-rock del cuore di quercia di Ted Leo
Poi tutto resto nel limbo del midtempo, le parole sono tunnel per l’alienazione spazio temporale…puoi sentire frasi come “There is an emptiness I cannot describe” in Rocky’s Late Night oppure “How strange/The feeling to be strangers” incastrato tra i coretti di Strangers. Insomma cose che si fatica a dire a sè stessi ma che può capitare di vomitarsi addosso nei vicoli ombrosi della mezz’età. Faccio il vago che è meglio.
Il finale è una defibrillazione post-punk assai vigorosa, si chiama “Harder, Harder, Harder”. The End e titoli di coda ti lasciano la voglia di riavvolgere in fretta il nastro e fare un altro giro di giostra.
Senza pensarci troppo possiamo dire che Francis Trouble è un disco onesto, vero, schietto e sincero come solo certa musica riesce ad essere.
Tum Vecchio