“Orfeo l’ha fatto apposta” è il primo album in studio di Pietro Berselli, giovane e talentuoso musicista originario di Brescia, ma padovano di adozione. È il naturale seguito del suo Ep di esordio, “Debole – Senza Regole”, e lo si può dire senza esitazioni, visto che tutte le tracce di quest’ultimo sono contenute anche nel nuovo Lp.

La musica di Pietro è difficilmente classificabile. È sicuramente riconducibile agli stilemi post-rock di band come Tortoise o Mogwai in quanto a malinconia e intensità, ma è figlia di un processo di interiorizzazione necessario ad asservire l’altra colonna portante del disco: le parole. I testi sono importanti quanto i suoni e contribuiscono a definire la personalità di un artista sensibile, pronto a imbeversi come una spugna di tutti gli spunti che il mondo che lo circonda riesce a fornirgli, per poi risputarli fuori filtrati attraverso il suo mesto ed ermetico immaginario.

Un immaginario spesso legato all’antica mitologia greca, come si può evincere dal titolo dell’album e dalla traccia di apertura, “Niobe”. Tutti i suoi personaggi, però, sono solamente un punto di partenza, maschere allegoriche che Berselli sfrutta per parlare di sé stesso e delle proprie visioni. La sua poetica è accompagnata da un flusso continuo di riff sporchi e malinconici, che si susseguono traccia dopo traccia. Ascoltare “Orfeo l’ha fatto apposta” è come spalancare la finestra in un giorno di pioggia, osservare un paesaggio grigio che viene maltrattato dalle intemperie e lasciarsi attraversare dal vento freddo che soffia incessante.

Nel disco sono presenti anche due interessanti momenti teatrali, rintracciabili rispettivamente nei pezzi “Diluire” e “In Diretta”. Sono due brani in cui le parole vengono volutamente messe al di sopra del resto, a voler di nuovo sottolineare quanto il messaggio sia posto sullo stesso piano della musica. Due binari paralleli, uno che corre oltreoceano verso sonorità post-rock, l’altro che punta dritto verso la tradizione poetica dei cantautori nostrani. “Sintetizzatore” e “Leggero”, invece, fanno da contraltare ai succitati picchi recitativi, essendo due brani strumentali in cui viene delineata e rimarcata l’ambientazione oscura dell’album.

Come ha dichiarato nella nostra intervista, Berselli avrebbe preferito essere come il suo Orfeo, cinico e spietato, ma ogni angolo del disco tradisce sensibilità e fragilità, che fanno parte della sua vera natura. Beh, io dico: “Meglio così”. Se così fosse stato, se Pietro fosse riuscito a trasformarsi in Orfeo, forse questi pezzi, così carichi di passione e sofferenza, non avrebbero mai visto la luce.

Alessandro Franchi

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