Spesso gli album postumi nascondono una precisa strategia da parte della casa discografica per lucrare il massimo possibile. Quando questo non accade, però, non è così difficile trovarsi di fronte al miracolo. Basti pensare al prosieguo delle “American Recordings” di Johnny Cash, oppure a “Streetcore” di Joe Strummer. “Thanks for the Dance” di Leonard Cohen appartiene a questa seconda categoria.

Atmosfere piovose, mood sacro, paesaggi senza orizzonte e una voce talmente profonda da far credere a tratti che il cantautore canadese sia ancora tra noi. Nove tracce, nove ultimi momenti a tu per tu con uno dei più grandi artisti della storia della musica occidentale.

Si inizia con la chitarra acustica di Happens to the Heart, un brano coheniano al 100 %, e già qui il primo brivido sale pensando che mai potremo risentirla in concerto. Moving On è una dolcissima ballata romantica, The Night of Santiago una lunga corsa notturna attraverso il deserto cileno.

Straziante l’inizio della title track («Thanks for the dance / I’m sorry you’re tired»). E noi che vorremmo dire a Leonard di non preoccuparsi, che non saremo mai stanchi, ci ritroviamo in completa solitudine a danzare questo ultimo valzer.

It’s Torn e The Goal ci ricordano quanto uno spoken word possa essere infinitamente più musicale di tanti canti, Puppets è una sublime poesia dedicata alla morte, la nera signora, divina, mentre The Hills è epicità pura. Listen to the Hummingbird è il finale perfetto e umile di una carriera semplicemente strepitosa: «Listen to the hummingbird / Don’t listen to me».

Andrea Manenti