Era la mezzanotte del 27 marzo, eravamo in pieno lockdown, e dopo ben otto anni Bob Dylan pubblicava un brano originale, profondo, toccante e molto lungo: Murder Most Foul. Due accordi ripetuti allo spasmo, nella classica maniera insegnataci decenni or sono da Lou Reed, con il pianoforte anziché la chitarra e gli archi di accompagnamento che creano sì tensione, ma senza mai farla esplodere. Qui non c’è noise, non ci sono feedback. Qui c’è la storia americana rivisitata a modo suo dal menestrello di Duluth.
Ripartendo dall’assassinio di Kennedy, Dylan rilegge le pagine più importanti di una terra nella quale «solo gli uomini morti sono liberi» fin quando la narrazione diventa una sorta di elenco di ciò che veramente conta per l’autore, a mo’ del Woody Allen di “Manhattan”. Ecco quindi scorrere uno dietro l’altro il Wolfman Jack di “American Graffiti”, Etta James, John Lee Hooker, Marilyn Monroe, gli Eagles, il più giovane dei fratelli Wilson dei Beach Boys, Stan Getz, Charlie Parker, Nat King Cole, il Machbeth shakespeariano, la melodia di Lucille e moltissimo altro. Sedici minuti e 54 secondi che diventano il secondo disco di cui è formata quest’ultima opera dylaniana.
Il primo disco non è da meno. Presenta infatti nove canzoni nelle quali Bob Dylan gioca con la musica e la letteratura nel miglior modo possibile. Come se fosse un Coen o un Tarantino musicale, riprende il passato e lo riporta in vita nel presente di questo “Rough and Rowdy Ways”. Abbiamo quindi il blues di Goodbye Jimmy Reed e Crossing the Rubicon, la waitsiana False Prophet e la dolcissima I’ve Made Up My Mind to Give Myself to You. Abbiamo la richiesta di aiuto alla musa di Mother of Muses, il legame con il padre della poesia statunitense Walt Whitman in I Contain Multitudes, la ribellione di Cesare e il richiamo del profondo sud dell’isola di Key West.
Dylan dà uno sguardo al passato per regalarci ancora una volta il presente, perché, nonostante il premio nobel, Dylan non è ancora solo passato, ma è vivo e ha ancora molto da dire.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman