Negli ultimi vent’anni, accanto alla sicura e arcinota carriera da mattatore punk, Iggy Pop ha portato avanti anche un’altra interessantissima carriera da consumato artista di mezza età. Era il 1999 quando con la pubblicazione di “Avenue B” l’iguana cambiava per la prima volta drasticamente pelle e mostrava al mondo un lato più romantico e riflessivo.

Un decennio più tardi è stato il turno della doppietta “Preliminaires” e “Après”, dischi solcati da un grande amore per la canzone francese e lo stile da crooner portato al successo durante il secolo scorso da un altro entertainer di razza quale l’immortale Frank Sinatra. “Free”, ultima fatica discografica, sembra riallacciare il filo con questi lavori, anche se stavolta la maggiore fonte d’ispirazione è sicuramente il jazz più fumoso e notturno.

L’album è composto da dieci brani ispirati e coraggiosi, in cui il più punk di tutti i punk (e anche questo disco ne è una dimostrazione nell’attitudine) rimarca con forza quello che è sempre stato il suo più grande desiderio: essere libero. La title track iniziale ed il suo verso ripetuto due volte “I wanna be free” regalano al fu James Osterberg ancora più credibilità (e ne ha sempre comunque avuta a palate) e lo allontanano allo stesso tempo dal rischio di diventare la caricatura di se stesso che qualcuno poteva aver scongiurato in questi anni di reunion degli Stooges.

Da futuro greatest hits almeno tre tracce: la ballad a bolero Love’s Missing, il giocoso singolo James Bond e l’irriverenza in salsa spagnoleggiante di Dirty Sanchez. Da citare il recitato su testo di Lou Reed We Are the People, come quello lievemente modificato di Dylan Thomas Do Not Go Gentle Into That Good Night. Inappuntabili i contributi musicali di due collaboratori quali Leron Thomas e Noveller, fra il meglio che il nuovo jazz possa offrire. L’ennesima ottima raccolta di canzoni che non può che confermare ancora una volta Iggy come uno dei più grandi di sempre.

Andrea Manenti