La terza serie di “The Leftovers” ci ha portati dall’altra parte del mondo. Letteralmente, visto che i nostri protagonisti si sono spostati in Australia, con due viaggi paralleli, uno di una coppia le pagine del cui amore verranno bruciate nella stanza di un albergo, l’altro un percorso di pellegrinaggio, attraverso gli inferi, dove Dio ha le sembianze di un uomo malvagio che viene sbranato da un leone. Come in Lost, Lindelof ci spiazza con riferimenti biblici, suggestioni che sembrano portarci verso una strada per smentirsi immediatamente, abbandonandoci in uno smarrimento che richiama quello dei personaggi che ha creato. L’universo di “The Leftovers” è straziato dal dolore e dall’oscurità della nostalgia, dove esseri umani che non si sono arresi alla perdita dei propri amati si muovono alla ricerca di una spiegazione, in un calvario senza fine, tra diluvi universali, ultime cene, profeti e capri espiatori.

La regia di questa terza serie è ancora più evocativa delle altre, con suggestioni senza fine, molte delle quali emergono dai nostri incubi e si muovono tra gli archetipi dell’inconscio. La sua forza è nell’inspiegato; ognuno può leggere quello che ha nel cuore, ciò che spera e proiettarvi le proprie paure. Più narrativa delle altre stagioni, la storia si muove all’ombra di quanto scritto nei libri delle vite di Kevin e Nora, come sacre scritture. Si avvereranno? Kevin è davvero un salvatore? Riferimenti biblici come se piovessero (e l’acqua è elemento onnipresente, materno e purificatore), dal numero 7, il secondo ritorno di Cristo, Abramo e Isacco e tantissimo altro ancora, mischiati ad immagini alla Lynch (inquietanti persone che parlano attraverso schermi) e a culti e canti aborigeni che contagiano anime scisse in una schizofrenia infernale (o divina?), fino all’ultimo episodio.

A tenere unita la serie è Nora, “la ragazza più coraggiosa della terra”, come dice suo fratello Matt in un’ultima struggente conversazione. In un finale perfetto, Lindelof cambia la chiave di lettura, riportandoci sulla strada giusta, dopo averci fatto smarrire ed ingannato. “Il Libro di Nora” inizia quando il tempo ha impresso il proprio segno sui volti di Nora e Kevin, in carne ed ossa, in un incontro sulle note del bellissimo tema musicale (colonna sonora incredibile), dal titolo che ci accompagna alla fine del racconto (the end of all our exploring). Cos’è successo negli anni che li hanno divisi? Kevin ha esplorato il mondo alla ricerca di qualcosa (come dice Laurie, “ognuno vuole qualcosa, un cervello, un cuore, coraggio”), Nora ha avuto il coraggio di andare oltre.

Non a caso l’introduzione dell’ultimo episodi torna a “Let the mistery be” :

Everybody is wonderin’ what and where they all came from
Everybody is worryin’ ’bout where they’re gonna go when the whole thing’s done
But no one knows for certain

 Abbiamo aspettato tre stagioni richiamati dalla presenza dei fantasmi scomparsi, come i protagonisti della serie, senza focalizzarci sul fatto che avremmo dovuto concentrarci su coloro che sono rimasti che si muovono tra le pieghe della vita alla ricerca di una spiegazione, per fallire e precipitare nella sua essenza e crudeltà, dolore e mistero. Quello che resta è un messaggio d’amore, dove la fiducia, il perdono e la compassione si sovrappongono ad un destino in cui poterci finalmente fermare per tenerci per mano all’incedere di un nuovo tramonto. Kevin dirà a Nora “Why wouldn’t I believe you?”, “You’re here”, alla fine della tempesta. 

Il Demente Colombo