Il destino artistico di Jack White è scritto nel suo nome. Pensateci bene. White è il colore che comprende tutte, ma proprio tutte, le sfumature dello spettro luminoso. Le ingloba e le riassume, le rimescola e ne fa una sintesi perfetta. Mastica e sputa: da una parte il blues, dall’altra le scartoffie del rock.
White è anche il colore dell’alba. E con “Boarding House Reach”, il suo terzo album solista uscito per la Third Man Records, il vecchio Jack sembra levarsi all’orizzonte avvolto da una nuova luce. L’effetto, come per ogni alba che si rispetti, è straniante e accecante al tempo stesso. Come quando guardi un bagliore troppo a lungo: chiudi gli occhi e di quel mondo abbacinante resta soltanto il bordo del sole trasposto in negativo.
Se poi li strizzi, gli occhi, vedrai comparire lampi colorati e puntini scintillanti. Un caleidoscopio di fosfeni iridescenti, generato proprio dall’esposizione alla luce bianca del sole. Tradotto in musica, è la fotosintesi del nuovo disco di Jack White. Un guazzabuglio di generi e idee, che ha pochi eguali nella storia recente.
“Boarding House Reach” è una sbornia di stimoli, più libero di “Blunderbuss” (2012) e più eclettico di “Lazaretto” (2014). È una sassaiola di suoni che per 45 minuti bruciano in un unico grande falò. L’ascolto crea dipendenza e assuefazione. Il motivo è quantomai evidente. Gli spasmi del guerriero, gli scatti improvvisi del matto, le boutades dell’intellettuale, le gesta dell’insurrezionista anarchico, hanno sempre affascinato da morire. Ecco, Jack White, oggi, può permettersi di essere tutto questo. Ed è terribilmente affascinante.
I diavoli blu
Ma per sentire il calore di quel fuoco, per ascoltare i racconti di quella luce bianca, occorre distinguere i colori che la compongono. E allora non si può che partire dal blu. O meglio, dai diavoli blu che da sempre ispirano la musica di Jack. Da Charlie Patton a Son House (al quale dedicò il primissimo album dei White Stripes) e poi giù fino a Jimi Hendrix e Link Wray.
Il nuovo disco si presenta con Connected by Love, un classico brano alla Jack White utile a riallacciare il filo del discorso con i precedenti lavori. Il refrain gospel con tanto di coro delle McCrary Sisters, però, lascia intuire che ci troveremo di fronte a qualcosa di completamente diverso. Con la seconda traccia, Why Walk a Dog?, si viene infatti catapultati in una dimensione onirica, tra il grottesco e l’incubo ricorrente, che dal blu assume le tinte violacee di lynchana memoria.
White parte da un impasto grezzo registrato su nastro e lo rielabora in seconda battuta stuprando i suoni a colpi di Pro Tools e Moog. Lo studio si trasforma in una fucina, dove la voce viene filtrata e strapazzata dai suoni sintetici e in cui la chitarra irrompe in una forma di meraviglioso lamento, come negli assoli di Neil Young per la colonna sonora di “Dead Man”.
Colori funk
Ci sono poi il verde, il giallo e l’arancione del funk. C’è il ritmo variopinto dei Parliaments (Get in the Mind Shaft), anche in questo caso rimestato in un cocktail inedito, fatto di congas e percussioni che renderebbero micidiale un qualsiasi inseguimento di un poliziottesco anni ’70 (Corporation). Altrove, gli stessi suoni sono rielaborati da musicisti che vengono da realtà apparentemente lontane da Jack White. Gente che ha suonato con Beyoncè e Kanye West, per intenderci, e che ha permesso all’artista americano di maneggiare la propria musica dandole un tocco sorprendentemente attuale.
Il ritmo cambia spesso anche all’interno dei singoli pezzi, che non rispettano quasi mai la forma canzone, preferendo il capovolgimento improvviso alla struttura tradizionale. È tra le pieghe di questo patchwork post-moderno che si insinua il rap programmatico di Ice Station Zebra. Qui Jack catechizza i colleghi con versi di fuoco (You create your own box, you don’t have to listen to any of the label makers, printing your obituary) per una delle migliori tracce del disco.
Sfondo rosso
Ma i vecchi fan non si spaventino (non troppo). In “Boarding House Reach” c’è spazio anche per qualche cenno ai fasti di un tempo. Oltre al brano d’apertura, anche Over and Over and Over, con il suo riffone potente, starebbe bene in “Icky Thump”. Il sound primitivo di Detroit, che va dagli MC5 agli Stooges, continua ad avvolgere le composizioni di Jack, pur tenendosi in disparte. È la sfumatura rossa del disco, il lato garage dei bicolori White Stripes, che qui si realizza solo nelle intenzioni (What’s Done is Done) lasciando al bianco la parte del leone.
Ed è in questa transizione che White si rivela in tutta la sua genialità. Nell’indicare la retta via per il futuro della musica rock. Laddove Beck aveva posto le basi con “Mellow Gold” nel lontano 1994, Jack White è riuscito a completare l’opera 24 anni dopo, vestendo i panni bianchi del “candidato”. I panni di chi sta per mutare condizione e cerca di superare i confini tracciati dai fantasmi del passato.
Paolo Ferrari

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.