Giorgia D’Eraclea è una potenza. Con i suoi Giorgieness rappresenta una delle realtà più interessanti del panorama indie-rock italiano. Il suo secondo album, “Siamo tutti stanchi” (qui la nostra recensione) è un lavoro intenso e sofferto, e proprio per questo molto prezioso. Abbiamo parlato con lei di questo suo nuovo disco, dei suoi contenuti e di altre esperienze personali. Ne è uscita una bella chiacchierata. Buona lettura.

 

A cura di Paolo Ferrari

Ciao Giorgia, ho notato che per rompere il ghiaccio in molti ti chiedono di spiegare l’origine del nome Giorgieness. Mi sento preparato: Giorgieness è un tuo vecchio nickname nato dalla crasi fra il tuo nome e quello di Mike Ness dei Social Distortion. Quando l’ho scoperto mi ha fatto molto piacere, perché significa che abbiamo un background di ascolti comune. Allora passo subito alla domanda successiva: quali altre band punk hanno ispirato la tua musica? Che significato aveva per te ascoltare punk in Valtellina, la tua terra, da adolescente?

Onestamente non mi sono mai interrogata troppo sul ruolo del punk nella mia adolescenza. Nel senso, era la colonna sonora di tutto, ma sono forse più punk adesso che allora. Sicuramente era uno status, una presa di posizione. C’eravamo noi, disastrati e disagiati, che ascoltavano e facevano musica che non piaceva alla maggior parte dei nostri coetanei, andavano in giro coi capelli colorati e i vestiti distrutti. Dall’altra parte c’erano i ragazzi “normali” che ci guardavano male e i loro genitori che ringraziavano di non averci come figli. La verità è che non eravamo poi tanto diversi. Come dicono i TARM, “ogni adolescenza coincide con la guerra”, e noi avevamo quel modo lì per ribellarci alla provincia e a noi stessi. Credo che a noi interessasse dire chiaro e subito cosa non eravamo. Credo servisse più a noi che agli altri, ovviamente. Penso sicuramente ai Rancid, ai Distillers, Bad Religion, NoFx, Blink182. Quella roba lì insomma, ma non potrei non nominare – al di fuori del punk – i System of a Down, che son stati una delle band che ho ascoltato di più all’epoca… Ero e sono rimasta molto abitudinaria con la musica. Ne ascolto tantissima, ma alla fine ho la mia confort zone anche lì. Ogni mattina ascoltavo le stesse canzoni andando a prendere il treno, le stesse tornando, insomma le canzoni mi hanno sempre coccolata in qualche modo.

Allora direi che siamo davvero sulla stessa lunghezza d’onda! Dal punk e dalla musica heavy tu hai ereditato una certa rabbia. Ma mentre nel tuo primo disco la rabbia era veicolata sia dai testi che dalla musica, in “Siamo tutti stanchi” i suoni si sono fatti più pacati. È un album meno “urlato”, meno “ruvido”, in cui la parola diventa lo strumento principale con cui sfogarti. Da dove nasce questa scelta di smussare gli angoli?

Mi è stato chiaro subito, chiuso il primo disco, che stavo andando da qualche altra parte. Penso sia fisiologico cambiare nel tempo e non escludo altri album urlati in futuro o chissà che altro farò. Cerco di non pormi troppo questo problema, sai? Nel senso, per “Siamo Tutti Stanchi” mi son scavata moltissimo dentro e ho scoperto di avere nel profondo molto più silenzio e molto più vuoto di quello che la rabbia cieca mi faceva sentire prima. E ho cercato di mettere questo nell’album, a livello sonoro. I testi sono sempre stati molto importanti per me, questa volta direi centrali. Quando non sapevo cosa scrivere e come scrivere, durante la lavorazione, mi sono resa conto che mi mancavano le parole, mi mancava avere a fuoco il discorso generale, e infatti l’ho anche messo in una canzone, che è Vecchi, e dice “vecchi anche i sentimenti e le parole per descriverli”. Scrivere canzoni, come tutti i lavori, è qualcosa che col tempo – mi auguro – impari a fare con più facilità, acquisisci competenze che ti portano in meno tempo a ribaltare il pezzo, capire cosa funziona e cosa no e tante piccole cose, ma ad oggi per me non è ancora così semplice, per questo ero ferma: cercavo di dire delle cose senza dirle per paura di ferire chi avevo attorno, col risultato che io non ero soddisfatta e le canzoni peccavano di sincerità.

Che ruolo ha avuto Davide Lasala (produzione, mix, chitarre e pianoforti) in questo processo?

In questo lavoro Davide ha avuto molta pazienza, ma anche decisione. È stato fondamentale il lavoro che abbiamo fatto in preproduzione, sia a livello di arrangiamento che di suono, ed è stato centrale il fatto che avesse capito di quanto meno rumore avessi bisogno, ma allo stesso tempo quanta forza dovessero avere le canzoni.

Restiamo sul punk, ci ho preso gusto. L’autolesionismo e il masochismo sono tipici di questa filosofia. Dai tuoi testi sembra che questo tipo di atteggiamento (inteso in senso spirituale e non fisico) sia una costante nei tuoi rapporti (“Ti odio ma ti faccio le fusa”, “Ecco, così, anche più forte, fammi a pezzi”, “Ci baciavamo coi coltelli”). È così? Parlare di aspetti così intimi delle tue relazioni è un modo per raggiungere una catarsi?

Beh, sicuramente questa volta ho toccato temi molto diversi, anche se magari da fuori non subito arriva questa cosa, ma se questo è un album d’amore credo sia un amor proprio in primis. Pezzi come Mya, Controllo, Vecchi e soprattutto Fotocamera parlano di un lato di me che ancora fatico ad accettare, che mi ferisce e ferisce gli altri. A questo proposito, sono sempre molto commossa quando le persone che ci ascoltano mi dicono che mi vogliono bene, che sono una bella persona, che merito cose belle, perchè io proprio non sento di essere così meritevole. E sicuramente, è un modo per “farmi male” da sola, una sorta di trappola per topi mentale, che poi è lo strumento di tortura più diffuso, la nostra mente. Ne parlo perchè non potrei parlare d’altro, non sono capace di scrivere canzoni in cui prometto che andrà tutto bene nel momento in cui sorge il sole, non funziona così. Credo che la forza uno la trovi proprio quanto tocca il fondo, e ognuno ha il suo personale fondo ovviamente. Personalmente, quando sto male, non ho bisogno di qualcuno che mi dica che passerà, ma di qualcuno che mi dica che capisce. Per questo parlo abbastanza apertamente di certe cose, e credo che sia questo che arrivi, il fatto di non essere da soli a passare quelle cose. Magari un giorno farò un disco felice, ma per quel che mi riguarda, questo lo è già, perchè come dicevi è stato catartico vedermi prima da dentro e poi da fuori e iniziare a lavorare su me stessa senza addossare sempre ad un ipotetico TU i miei problemi e i miei fallimenti.

A proposito di ferite, in “Controllo” sembri raccontare una storia di violenza sulle donne. Quanto può essere utile parlare di questo dramma attraverso la musica?

Ho scelto di parlarne in una forma un po’ diversa da quella della donna-vittima che si ribella al carnefice e glie ne dice pure dietro un tot. Credo che la violenza domestica sia un dramma da entrambe le parti, e non sto minimamente giustificando chi la compie, non è quello il punto. Ci sono passata per vie traverse e la cosa davvero difficile è capire che per chi c’è dentro quello è amore, ma anche sottomissione, senso di colpa, senso di vergogna, paura. Insomma, è un pacchetto di emozioni complesse e di problemi psicologici e psichiatrici gravissimi di cui bisognerebbe iniziare a parlare di più. C’è ancora uno stigma enorme su questi temi e infatti il commento che più si sente qual è? “Doveva denunciarlo e andarsene” o “Chissà cosa gli è passato per la testa, sorrideva sempre”, quelle cose lì. Mi auguro che col tempo si arrivi a non aver paura di farsi aiutare quando la testa non funziona bene. Tornando alla canzone, ho cercato in punta di piedi di descrivere quello che succede nelle mura di casa quando ci si trova in quella situazione, senza accusare, ma andando davvero a fondo della dinamica. Infatti canto: “Con addosso segni che non vedi più perchè non guardi me”, ma anche “E agli altri la nascondo quella parte di te che non ha controllo”. In tutto questo, ringrazio mia madre che da sempre mi ha parlato di determinate cose e mi ha permesso di capire, allontanarmi da situazioni che potevano sfociare in qualcosa di brutto, ma anche di stare vicino a persone a me care che si trovano in dinamiche del genere.

Il contrasto è un altro tema portante della tua poetica. Amore/odio, tentativo di fuga/staticità, “sono il mio male peggiore/sono il mio male migliore”. Come sopravvivi agli scontri nei rapporti e come ai contrasti interiori?

Malissimo! Diciamo che le relazioni interpersonali non sono esattamente il mio forte. Col tempo sto imparando, grazie anche ad una persona molto paziente che mi sta vicino e alla mia famiglia, biologica e non. Ma ecco, diciamo che il punto è proprio che non dovrei reagire in quei momenti. Dovrei lasciare fluire, analizzare a mente fredda, capire innanzitutto COSA sento, che emozioni, che pensieri, e solo dopo agire e prendere una posizione a riguardo. Ecco, sulla teoria sono preparatissima, ma poi come a scuola “non si applica”.

Leggendo il titolo del primo brano del tuo disco (“Avete tutti ragione”) mi sono venuti in mente i Canova e il titolo del loro album (“Avete ragione tutti”). Rispetto a loro e alla schiera di altre band simili italiane, oggi molto di moda, rappresenti una mosca bianca per genere e ispirazioni. Ti senti parte del nuovo indie-pop italiano o è roba che non fa per te?

Ne approfitto per dire ai Canova che, mannaggia a loro, io il disco lo volevo chiamare “Avete tutti ragione”, ma non si poteva più! Scherzi a parte – e abbracciando i Canova – certo che sì. Ci si incontra costantemente in tour, si girano gli stessi locali, si fanno le stesse cose e a volte capita anche che nascano bellissime amicizie. Mi sento sicuramente parte di qualcosa, più generazionale – che brutta parola – forse, che indie o mainstream o altro. Odio abbastanza queste distinzioni. Mi sento parte di quelli che caricano il furgone – o se lo fanno caricare dopo tot anni di facchinaggio autogestito – si sparano i chilometri e vanno a suonare perchè gli piace farlo, cercando di farlo diventare un lavoro col tempo che serve. Credo che non esista una vera scena, esistono le persone ed esistono persone che cercano di fare qualcosa. Ovviamente è sempre bello trovare il messaggino di qualche collega che ti dice che hai fatto bene, è come i complimenti da donna a donna che valgono sempre di più, perchè sono sinceri. Diciamo che io non la vedo così nera la musica italiana da qui a dieci anni.

Fra poco inizia Sanremo. Nel tuo disco ci sono un paio di brani che a mio parere potrebbero suonare bene anche lì. Sarebbe un’esperienza interessante per te?

Mi piacerebbe moltissimo e sono oltremodo felice quando una band o un artista “”””indie””””” riesce a fare qualcosina di più. Mi sento in qualche modo orgogliosa. Forse, riallaciandoci al discorso di prima, è perchè mi sento, appunto, parte di qualcosa che si muove e vive e ha un cuore grande così che batte fortissimo, e quando qualcuno di noi ha il successo che merita o un’opportunità grossa, ecco io sono sempre sinceramente felice per lui. E poi vuoi mettere farsi dirigere da Vessicchio?

 

 

LE PROSSIME DATE DEL TOUR:

26 gennaio 2018 – Sant’egidio alla Vibrata (Te) – Dejavu Drinkandfood
27 gennaio 2018 – Firenze – Tender Club
9 febbraio 2018 – Roma – Monk