L’esordio dell’anno scorso di Davide Cedolin, dopo alcune prove sulla media distanza, l’avevamo già recensito alcuni mesi or sono. Pertanto abbiamo pensato potesse essere interessante parlarne col diretto interessato, in una chiaccherrata che è partita dalla produzione musicale per finire sul lockdown e sulla paternità, e capire come questi hanno impattato sulla gestione di “Embracing The Unknown”, la prima prova sulla lunga distanza di Davide.

 

 

Intervista a cura di Alessandro Scotti

 

Il tuo primo disco sulla lunga distanza come solista è molto più orchestrato delle altre uscite a tuo nome, anzi direi che c’è una cura delle dinamiche davvero certosina. E’ stata una scelta voluta?

Le dinamiche nella realizzazione del disco si sono evolute con l’andare avanti delle lavorazioni. Quando ho iniziato, i primi brani registrati erano pensati per chitarra, voce e poco altro. Voleva essere una sorta di diario. Registravo da e con Tommaso Rolando e lui pian pianino ha iniziato ad aggiungere qualche parte. La batteria avevamo pensato di metterla laddove c’era il basso più presente, ma andando avanti, per un discorso di omogenità, ho deciso di mandare a Ryan Jewell tutte le tracce a parte un paio. Iniziato il primo lockdown, la collaborazione a distanza è diventata necessaria non solo con Ryan (vive a NYC), ma anche con Tommi, con Paolo Totrtora (che si è occupato delle chitarre elettriche e delle “ambientazioni”) e man mano che il disco si sviluppava ha coinvolto gli altri ruoli sempre con le modalità da remoto. Il disco me lo sono autoprodotto, con l’aiuto di Torto Edizioni e di Marsiglia Records, il master è stato fatta da Patrick Klem, che ha lavorato con gente del calibro dei Sonic Youth e ha fatto alcuni tra i dischi acustici dell’ultimo decennio che amo di più.

Come hai contattato Patrick Klem, che ha fatto il master?

Via email. Ho mandato una email a due tecnici che stimo molto. Uno, Patrick, che in onestà era anche la prima scelta, ha risposto entusiasta.

Come porterete il disco in giro dal vivo? Farete delle registrazioni dei live?

Con Tommi Rolando al basso e Simone alla batteria. Tutte le canzoni saranno espanse in fase live. Registrazioni dei  live? Ci pensiamo spesso e sarebbe utile intanto per noi e magari sarebbe bello anche pubblicarle.

L’idea di produrre tutto tu avrà un seguito?

Si, perché mi permette di mettere a fuoco la chitarra acustica, che peraltro è facile da questo punto di vista, ed è un processo valido anche solo per fissare le mie idee, per documentarle, anche perché non sapendo scrivere la musica devo trovare un modo.

Ti piacrebbe fare il produttore per altri dopo questo disco?

Certamente. Il mio approccio, devo dire, è stato basico, ho letto manuali che trattavano il software che ho usato e altri che parlavano di mix naturale. Mi piace usare le orecchie ma anche gli occhi per studiare ed elaborare le frequenze su schermo: anche in questo modo si possono avere intuizioni utili.

 

 

La voce è mixata abbastanza bassa, è rilassata, e sono curioso di capire che spazio hai voluto darle.

La voce è mixata in funzione delle mie caratteristiche e del mio gusto e anche per raccontare in un certo modo. In passato i testi erano più astratti mentre in “Embracing the Unknown” mi sono aperto di più in senso personale. Al contempo volevo che il cantato non rubasse spazio alla chitarra. Inoltre penso sempre anche alla questione per cui il tutto deve essere fattibile dal vivo come esecuzione, per quello anche amo lo strumentale, perché così ho solo quel compito esecutivo da fare. Però mi piace scrivere, con l’italiano ho realizzato dei micro racconti ma con le canzoni faccio fatica in lingua madre, pertanto i testi sono in ingelse, che forse si presta anche di più per il genere che faccio.

Parlami della cura per le dinamiche del disco.

In realtà è stato facile equilibrare i vari strumenti, salvo il piano che è stato più complesso da gestire perché occupa tanti colori. Ha richiesto qualche attenzione in più, ma ne è valsa la pena.

Nelle canzoni c’è una vena psyche rilassata che mi pare una costante, è una scelta voluta?

Penso sia  il mio modo di approcciarmi e percepire la musica, è consapevole ma non forzato.

A parte la musica, cos’altro è successo che ha avuto impatto nel disco? So che sei diventato padre e mi chiedo se questo ha influito.

Da qualche anno sto poco in città (ndr a Genova) e ne sono felice, ho ripreso a studiare  pittura. Non seguo più così tanto gli eventi mondani, so che ci sono posti che continuano a fare concerti, ma sui gruppi e nomi della scena locale ne so poco, ci sono tanti trapper ovviamente. C’è Rodolfo Bignardi che dopo anni di busking quasi quotidiano ha da poco esordito con il suo primo album. Aggiungerei anche Susanna Roncallo, ottima chitarrista finger picking, e la cantautrice Charlie Risso, che ha pubblicato l’anno scorso un disco molto ‘dreamy’.

Sulla paternità ovviamente è totalizzante, ma da alcuni anni vado a dormire presto, mio figlio dorme tranquillo quindi non mi ha sconvolto troppo la routine, poi quando suono un po’ di attenzione lui me la dà, in ogni caso qualcosa di musicale pensando a lui l’ho fatto, ovvero alcuni giri e un brano strumentale che ho intitolato con il suo nome (Timo) e che farà parte di una prossima uscita. In sintesi posso dirti che essere padre è una bella forma di nutrimento.

Quali sono i progetti per il futuro della tua carriera?

Diciamo che per parafrasare una frase di altri ci metti 10 anni per arrivare a suonare come vorresti per te, 20 anni avere un pubblico, 30 per essere amato dai tuoi guru ma non bastano 50 anni per essere apprezzato da dio. Si tratta di andare avanti sperando solo di aver sempre del tempo da dedicarci.