Pianoforte e voce, languidamente sdraiati su un tappeto di morbide percussioni e discrete corde: Howe Gelb accarezza i suoni e sussurra parole nel suo ultimo album “Future Standards”. Il leader dei Giant Sand in versione solitaria soffia un familiare vento di poesia nelle nostre orecchie, purificandole da ogni eccesso e tornando e ritornando alle pure basi. A volte intreccia la voce a quella di Lonna Kelley, come in “Terribly So”, “A Book You’ve Read” o “Ownin’it”, altre volte lascia più spazio alle dita per viaggiare tra i tasti, come in “Irresponsible Lovers”.
Un album dal brumoso e malinconico continuum che ogni tanto viene spezzato da tocchi rythm di “Relevant” o dalle leggermente più sostenute “Clear” e “Impossible Thing”. Ma il costrutto di base, amplificato e reso più intimo nelle sue ultime tracce, è inciso nello struggimento di “The Shiver Revisited”, nella sofferenza emotiva di “Mad Man at Large” o delle ovattate “May You Never Fall in Love” e “Sweet Confusion”, così come della conclusiva e riverberante “Mad Man at Home”.
I 12 brani che compongono l’album provengono dallo stesso stampo blues, da sotto lo stesso cappello calato sugli occhi, dalla stessa sala scura e fumosa piena di clienti silenziosi e pensosi. La vocalità sensuale e roca di Gelb è il centro attorno a cui ruota il disco (se non la sua intera produzione solistica): un marchio di fabbrica che il cantautore non disdegna di usare e riproporre senza trasformazioni, senza mai scavallare il confine del conosciuto. E se da un lato questo garantisce un prodotto qualitativo e riconoscibile, dall’altro rischia di appiattire il disco, renderlo un gatto appisolato e acquattato nel suo cesto di vimini. Niente rincorsa al gomitolo lontano, ma fusa sul comodo cuscino quotidiano. Un piacevole e rasserenante sottofondo.
Howe è, e lo canta, “In cerca di un’eterna primavera” e sa che “non si trova in un sorso ma in un sorriso innocente”, fresco e puro: eppure, tiene il bicchiere colmo di certezze saldamente in mano, lo riempie del suo distillato tradizionalmente meglio riuscito. Rassicurante ma, consapevolmente, sul filo del rasoio dell’indolenza.
Giulia Zanichelli

Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.