“This Wild Willing”, l’ultimo album solista di Glen Hansard registrato a Parigi, è il risultato di una serie di nuovi e numerosi tentativi (ben riusciti) del cantautore irlandese. C’è chi si adagia su successi pregressi, lasciando ai margini la ricerca e lasciando spazio esclusivamente alla brama di successo, e chi segue il proprio istinto e non abbandona mai quella sempre cara fase di sperimentazione, al di là di tutto. Quest’ultimo è il caso di Glen Hansard, che, con lo sguardo rivolto verso il futuro e un particolare riguardo nei confronti del passato, non delude affatto le aspettative nemmeno questa volta.
Un disco a tratti contraddittorio, a livello melodico e di scrittura, che affascina proprio per la sua probabilmente voluta scarsa limpidezza. Non tutto ciò che bello è per forza coerente, anzi, perderci nel caos di Glen Hansard, e in dodici brani, molti dei quali piuttosto lunghetti, come Fool’s Game e altre quattro tracce che superano i sei minuti, ci fa immergere in dimensioni ogni volta inaspettate (pur facendoci sentire sempre a casa).
Al di là della mescolanza di ritmiche e suoni, che fanno sempre piacere, “This Wild Willing” è un disco dotato di evidente evoluzione, perfettamente individuabile in Don’t Settle, al secondo posto nell’album. Evidente anche nelle tinte folk di Brother’s Keeper, così come nella bellissima ultima traccia, Leave A Light, che chiude dolcemente una storia nuova, quella che Glen Hansard vuole raccontarci con uno dei suoi dischi più azzeccati.
Ma è forse Race To The Bottom che più colpisce, frutto dell’incontro con i fratelli iraniani Khoshravesh, che attraverso la ricercatezza del suono, spicca di una luce diversa, che salta fuori anche in un altro brano, Good Life Of Song. Un disco che richiede sicuramente del tempo per esser ascoltato, ma giusto un attimo per esser apprezzato a un primissimo ascolto. Forse, merito della sua, soltanto apparente, semplicità?
Camilla Campart
