Ok. Partiamo con un concetto di base: “La sospensione dell’incredulità, o sospensione del dubbio, è un particolare carattere semiotico che consiste nella volontà, da parte del lettore o dello spettatore, di sospendere le proprie facoltà critiche allo scopo di ignorare le incongruenze secondarie e godere di un’opera di fantasia.” (fonte Wikipedia)

Ora è chiaro che sia qui per parlare di The Getdown e credo anch’io non sia il caso di scomodare il teatro dell’assurdo eppure è in questa visione dell’opera che dobbiamo porci per guardare questa serie.
Sì perchè se Netflix (che produce e trasmette la serie) ha cercato di spacciarci la prima stagione come la “storia romanza della nascita del rap” qui si spinge oltre il limite creando personaggi che diventano la parodia di loro stessi, dialoghi che davvero sfiorano il ridicolo e una linea narrativa discontinua, a tratta slegata e tenuta insieme da accadimenti puramente casuali o poco chiari all’interno storia.

Già la prima serie non aveva convinto, costata 120 milioni di dollari è risultata comunque una delle meno viste del palinsesto Netflix. La parte 1 conteneva tanto momenti bellissimi quanto parti troppo pasticciate per essere godibili.
Decido comunque di sacrificare una domenica e dedicarmi al binge watching, in fondo tutti meritiamo una seconda chance (o perchè in fondo sono un ottimista).
Più passa il tempo più la serie mostra i suoi lati forti e i suoi lati deboli. Da una parte abbiamo una colonna sonora incredibile, con tratti degli episodi che sono più simili ad un musical che ad una commedia. Dalla parte opposta ci ritroviamo però ad avere una storia tanto romanzata da risultare davvero poco veritiera. A questo si aggiunge come un sapore di un buonismo di fondo. Gangster che decidono di abbandonare il mondo della droga per dedicarsi ai loro sogni musicali. Writers che inneggiano alla libertà dei graffiti come forma d’arte e non vandalismo. La libertà sessuale repressa che esplode negli anni 70 in tutte le sue forme e declinazioni. Tutti argomenti trattati in una maniera così banale che per un momento sembra una fiction della Rai.

Si può parlare secondo me di un’opportunità buttata via per Netflix che investe molto e ricava ben poco sia in terimi di ascolti che di qualità del prodotto.
Pensare che sulla stessa piattaforma ci sia il documentario Hip-Hop Evolution, un prodotto ben fatto ed accurato sulla vera storia del rap immeritatamente poco pubblicizzato (chiaramente consigliatissimo).

Simone Casarola (@simocasarola)