Scendere nell’Abisso è qualcosa che ha a che fare con la profondità e quando si va a fondo delle cose non si può fare tanto rumore. La sensazione è quella di un grande specchio in una stanza piccola in cui Federico Fiumani, a tu per tu, si spoglia di tutto per centrare un unico obiettivo: parlare al cuore.

Sembra quasi di immaginarlo, con la sua chitarra, anche lei spoglia di distorsione, coperto solo di una band silenziosa, mentre richiama ad un’apparente leggerezzache sembra “non chiedere mai perdono, perchè è da pezzenti”.

Ma non si può restare a lungo composti. Dopo i primi due brani, una scarica di batteria risveglia gli animi e li conduce a uscire dalla gabbia. La voce di Fiumani si libera e l’energia si sprigiona. Ma dura poco. Giusto il tempo di ossigenare per tornare giù. Solo il tempo di accontentare un momento di nostalgia dei ritmi punk-rock del passato. Una nostalgia che ritorna come un fulmine di passaggio a metà disco per ricordarci che “è solo un sogno elettrico” e che i ragazzi stanno bene.

Se toccare l’Abisso significa aprirsi ad una dimensione intima, non manca il riferimento al tema dell’amore. Ma niente che tradisca lo stile a cui i Diaframma ci hanno abituato nei loro 20 anni di carriera. Testi semplici e diretti, che lasciano poco spazio ad abbellimenti o poetici giri di parole.

Come semplici sono i riff di chitarra, che sembrano abbandonare la necessità di essere irriverenti nel loro essere dissonanti e darsi un’aria matura pur conservando la loro essenzialità.

Ma dall’Abisso se ne esce sempre vivi per ritornare, con l’ultimo brano – a tratti un po’ retrò – del disco, alla luce del giorno. Un disco solido. Strutturato. Un disco che entra in punta di due piedi fermi, che si inchiodano tra il cuore e la pancia e ti ricordano che i Diaframma sono tornati.

Renato Murri