Quando band non statunitensi si avvicinano al mondo dell’America Settentrionale, spesso finiscono per scrivere capolavori. Bastino gli esempi degli inglesi Clash e del loro “Sandinista” o degli irlandesi U2 e del loro “Joshua Tree”. Sul vedere gli U.S.A. da una prospettiva non completamente autoctona, ma più come una delle due patrie, i Calexico di Tucson, Arizona, al confine con il Messico, ci hanno costruito una carriera che prosegue ormai da ben ventidue anni, con più alti che bassi.

Questo ultimo “The Thread That Keeps Us”, da ascoltare rigorosamente nella versione deluxe (quella veramente completa formata da ventidue canzoni), è uno degli album più riusciti della formazione di frontiera, un viaggio fra rock epico, temi politici, ritmi tex mex, malinconie alla Radiohead, rock a volte hard e richiami al passato remoto chiamato Giant Sand.

Iniziando con il singolo End Of The World With You (stupendo l’incrocio fra le tre chitarre, una in delay, una con l’e-bow e la terza ritmica acustica) e concludendo con l’incedere lento e riflessivo di Dream On Mount Tam, in mezzo ci si ritrova di fronte a paesaggi strumentali di grande ispirazione come la desertica Spinball, Unconditional Waltz e il suo amabile incontro fra chitarra e tromba, l’atmosfera western di Shortboard e Long Board, il Messico di Luna Roja, la malinconica Inside The Energy Field.

Non da meno i brani cantati, dal “classic” alternative country di Voices In The Field al rock tirato di Bridge To Nowhere, dai richiami a mostri sacri del crossover quali Les Négresses Vertes o Mano Negra in Under The Wheels e Flores y Tamales, al quasi stoner di Dead In The Water, senza tralasciare un pezzo d’oro come Another Space, con quel suo ritornello che ti si ficca in testa come poche cose, o la filastrocca di Lost Inside.

Non ci resta che segnarci la data del 14 marzo all’Alcatraz di Milano e ritrovarci tutti quanti a ballare e pensare con i Calexico.

Andrea Manenti