Dopo 17 anni di quasi assoluto silenzio, dico quasi assoluto perché per la versione deluxe del loro unico ed eponimo album si erano ritrovati per un tour nel 2014, sono tornati gli American Football. E hanno ripreso proprio da dove avevano lasciato tutto nel 1999. Il titolo del nuovo album è ancora lo stesso e anche la casa che compare nella cover del disco è la stessa iconica del primo, solamente con uno scatto dall’interno delle mura. Ecco infatti cosa ha detto Mike Kinsella sulla copertina: “It created a narrative without spelling anything out in particular. I think it’s a really cool thing that happened. It kind of became an iconic thing”. Nel 2014, quando i tre membri originali si sono ritrovati per una serie di concerti, la sensazione era stata quella di una celebrazione fuori dal tempo di un’esperienza musicale ormai conclusa. Da quel momento in realtà i membri originali degli American Football, affiancati questa volta dal cugino del cantante Nate Kinsella (Joan of Arc) al basso, hanno iniziato a condividere tra loro alcuni pezzi su una cartella Dropbox. Da qui, l’album uscito nei giorni scorsi per la Polyvinyl.
Gli American Football e il loro unico disco, come altre gemme dell’indie del mid-west, ha eroso nel tempo un solco e ha segnato uno dei punti fermi per una generazione di ragazzi, cresciuti con la musica emo, poi andata persa e fraintesa con gli anni 2000, tra frange piastrate e finte tendenze suicide. Un album divenuto di culto, un lampo che è rimasto splendente per un gruppo di fedeli, una possibilità di un rapporto intimo con la musica e le band di quella scena, fuori da alcun tipo di star system anche locale e nello stesso tempo originario di tante esperienze artistiche. Un po’ come successo per Sultans of Sentiment dei The Van Pelt (anche loro in qualche modo ritornati con “Tramonto”, registrazione di un live tenutosi sulle colline ferraresi pubblicato dall’italiana Flying Kids Records), ci sono band destinate a pubblicare dei dischi che inconsciamente sono diventati un manifesto dello stato d’animo di una generazione.
“Band come gli American Football non tenevano concerti per centinaia di persone negli anni Novanta, ma suonavano la loro musica per un piccolo gruppo di persone che poco a poco si è diffuso”.
Kevin Duquette – Topshelf Records (Braid, TWIABP)
Non è un caso che lo stesso Mike Kinsella sia stato fautore di altri progetti quali Cap’nJazz, Joan of Arc e in ultimo l’esperienza solitaria con Owen. Una delle caratteristiche peculiari di band quali gli AmericanFootball e una certa scena che per semplicità chiamiamo “emo” è stata proprio quella di sapersi tramandare, allargare in piccole cerchie. Si sprigionava tra i seppur pochi seguaci di questi gruppi una voglia di emulare e portare avanti un’esperienza di musica e narrativa nella loro vita. I loro testi erano senza dubbio emozionali, schivi, da pomeriggio d’estate passato sul letto con le tapparelle socchiuse senza la voglia di alzarsi. Mentre l’emo mainstream emergeva nella seconda metà dei 2000, questa forma primitiva ha continuato però imperterrita, sia dai veterani della fine degli anni ’90 sia da newcomers come Into It Over It e The World Is A Beautiful Place & I Am No Longer Afraid To Die.
Il video di “Never Meant”, tratto dal primo album del 1999:
Come in altri album frutto di una reunion, la chiave del successo o almeno della conferma è stata nella capacità di ritrovare il filo, di riscoprire e rimanere in qualche modo fedeli rispetto a ciò che aveva reso grande la band e nello stesso tempo riconoscere il cambiamento del tempo. L’atmosfera che si respira in questo secondo lavoro è più accondiscente verso il pop, la voce di Kinsella si fa meno sussurrata, meno flebile; ora non si arresta e porta a termine il proprio disegno, ferma, cresciuta. Non è più il ragazzino del college, ora è un padre di famiglia, ma sempre lo stesso Kinsella tenebroso, che scrive testi col cuore in subbuglio. Il sound della band rimane, seppur in modo meno evidente, caratterizzato dallo stesso incedere: la sperimentazione nelle irregolarità dei tempi, dei ritmi totalmente diversi della chitarre e della batteria riescono a creare la stessa magia di sempre, che quasi nessuno è mai riuscito a ricreare. L’album si apre con “Where are we now?” e sembra proprio rispolverare un discorso lasciato a metà con dei vecchi amici del college. Gli American Football hanno avuto il coraggio di portare avanti un discorso con le stesse persone che sono cresciute con loro. American Football LP 2 è un album adulto, che tratta di timore, un cuore e delle emozione che non si capiscono (“I cant’ believe my life is happening to me”). Trovarsi a scrivere degli American Football è difficile perché costringe a fare i conti con se stessi, con il rischio di indulgere in una nostalgia e a sorriderle compiaciuti. Indubbiamente, nonostante le critiche si leveranno e già si sono levate per i nostalgici del primo album, gli American Football esistono per dare prova che alcune ferite sono senza tempo, e ci vuole coraggio per guardarle anche quando si è adulti. Magari con occhi diversi, ma sempre ben fissi lì dove c’è qualcosa che freme e non fa mai star tranquilli.
Andrea Frangi

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.